Månegarm – “Fornaldarsagor” (2019)

Artist: Månegarm
Title: Fornaldarsagor
Label: Napalm Records
Year: 2019
Genre: Viking/Black Metal
Country: Svezia

Tracklist:
1. “Sveablotet”
2. “Hervors Arv”
3. “Slaget Vid Bråvalla”
4. “Ett Sista Farväl”
5. “Spjutbädden”
6. “Tvenne Drömmar”
7. “Krakes Sista Strid”
8. “Dödskvädet”

We in Månegarm want you to follow us into the adventure of the ancient days.

Se li avete sempre amati e ne avete apprezzato passo dopo passo l’ottima maturazione ma sul finire del 2015, all’uscita dell’omonimo full-length dei Månegarm, avevate provato una vaga fitta nel constatare con amarezza che la divisione di Norrtälje, fino a quel momento figlia prediletta baciata in ispirazione dalla stella del nord, aveva effettivamente pubblicato un disco incomprensibilmente ed eccessivamente inconsistente, persino mediocre, in cui si mostrava slavata, quasi melensa e con tutte le carte in regola per non accontentare per davvero nessuno – se questo rispecchia in tutto o in parte i sentimenti di chi legge, è arrivato il momento di gioire in quel modo che -in analoghe situazioni- è davvero raro anche solo sperare di poter fare. Calcolata infatti l’altissima qualità delle vittorie ammucchiate dal 1995 a quel momento, l’altrettanto discutibile penultimo capitolo è ufficialmente considerabile nient’altro che un pericoloso passo falso: l’ormai trio svedese è tornato in pista, ed è più agguerrito che mai.

Il logo della band

Non si tratta peraltro della battuta in ritirata facilona, quella sempre aprioristicamente auspicata in casi di delusione. I Månegarm non fanno due passi indietro per farne uno in avanti; ne fanno due in avanti con un balzo di valore e senza nemmeno guardarsi indietro.
Dimenticate pertanto le atmosfere notturne di “Nattväsen”, l’indurimento gelido che sacrificò parte del folklore in “Legions Of The North”, tuttavia senza più disperderne le fattezze ruvidamente estreme né il cesello melodico dell’indimenticato “Vargstenen”; il neonato nono capitolo “Fornaldarsagor” racchiude in sé tutte le qualità (non una esclusa o accantonata) che hanno reso grandi i Månegarm in oltre vent’anni di percorso artistico, ognuna delle quali sintetizzata e sviluppata oggi al meglio delle sue già ardenti possibilità.
La frase presa in prestito dal booklet per aprire lo scritto è la chiusura dell’introduzione con cui la band stessa ammonisce riguardo gli intenti genuinamente versati in “Fornaldarsagor” (che, per i meno avvezzi alla mitologia o storia nordica, fa riferimento all’omonimo ramo di saghe considerate le più arcaiche pervenute -quelle del tempo antico, o leggendarie- tra cui spicca la forse più celebre Saga dei Volsunghi anche qui saggiamente saccheggiata). Differentemente dal passato del gruppo, comunque intriso del retaggio culturale, mitologico della loro area e da sempre vascello di richiami più o meno velati a situazioni e personaggi del pantheon storico/leggendario nordico, qualora noti, i riferimenti sono in questo caso tutti diretti e inequivocabili: intere parti di quei racconti sparsi sono state recuperate per l’occasione e leggermente rimaneggiate, mentre in altri momenti più liberamente reinterpretate dai nostri in una fedele replica di guisa scaldica secondo esigenze narrativo-liriche; l’unico ritorno realmente ravvisabile è, pertanto, quello fortunato ai testi decantati unicamente in lingua madre, lo svedese che maggiormente si adatta alle capacità metriche del gruppo e che ne esalta inoltre la bravura melodica in cucita sinergia con la musica; e quella offerta in “Fornaldarsagor” è senza giri di parole tra la migliore che i Månegarm abbiano mai composto.

La band

Si prendano i momenti più feroci, con cui il trio finalmente si riprende dalla defezione dello storico chitarrista e co-compositore Jonas Almquist decidendo di aprire l’album sulle note sparpagliate come vento infuocato di “Sveablotet”, in cui rabbia, fierezza e bruciante malinconia per un passato tradito vengono subito tradotte in blast-beat a guidare l’assalto frontale e sanguinoso alternandosi alle gustose mitragliate di doppia cassa su cui s’innesta il gioco di sfumature dell’ugola vetriolica di Erik Grawsiö – dritto alla giugulare di chi ascolta: raramente, nonostante il non nuovo talento, il gruppo ha dimostrato di saper mescolare così sapientemente -e con un tale grado di presa- l’impatto del retaggio di Black Metal scandinavo con l’impronta melodica donata dal folklore alle basi del suo polimero compositivo. Il caso non è isolato: languore di sangue, fuoco e morte viene ribadito con ancora maggiore splendore nella scrittura della fenomenale “Slaget Vid Bråvalla”; tuttavia, anche nei momenti più veloci, adrenalici, trascinanti e catchy condotti dalle scariche di Hallegren (la sassata “Hervors Arv”, “Tvenne Drömmar” o la lucentezza di “Krakes Sista Strid”), che dall’ormai lontana accoppiata di “Vredens Tid” e “Vargstenen” avevano segnato l’effettiva maturazione del gruppo, nonché la netta propensione a scrivere da quel momento il suo materiale più ispirato proprio in tale veste, le sapide chitarre di Markus Andé rifuggono lo stratagemma di seguire il pregevole violino di Martin Björklund (rinvigorito d’importanza, alla base delle strutture per quantità e qualità in tutto il disco, si noti tra le altre “Ett Sista Farväl”) ronzando libere e lacerando i timpani dell’ascoltatore sia quando forniscono il necessario appoggio alle graffianti ringhiate di Grawsiö, bilanciando oscurità e aperture, che nei momenti in cui l’alterigia del barbarico cantato pulito, o degli appassionanti cori, la fa da padrone.
La struttura del disco, perfettamente realizzata e graziata dalla narrazione avvincente, non vive pertanto solo di velocità adrenaliniche, bordate e clangore del ferro: anche quando i nostri scelgono la via del mid-tempo granitico, muscolare o dal gusto drammatico (rimarcabili nell’olezzo di decomposizione intitolato “Spjutbädden”), accompagnano ogni colpo di fendente, ogni zannata con l’ardore ed il fervore dell’ultima mazzata da sferrare all’ascoltatore. Il risultato è assolutamente travolgente in ogni sua sfumatura prima di farsi, per di più, accorato all’intonazione della splendida canzone della morte (“Dödskvädet”), ricca di puro folklore acustico, ove il lupo torna ad ululare un’ultima volta alla luna con soddisfazione per quanto ha saputo donare e guadagnare in vista della fine.

In sostanza e nonostante le gemme del passato, non è assolutamente azzardato asserire che con “Fornaldarsagor” i Månegarm abbiano fatto tesoro di tutta l’esperienza, dell’originalità fortemente distintiva per vocazione, di tutta la maturazione e in questo caso anche di tutta l’ispirazione accumulata negli anni, per realizzare in un solo colpo il loro album più ricco, graffiante, ruvido, irresistibilmente trascinante, tuttavia senza rinunciare a nemmeno un briciolo dell’orecchiabilità e della squisitezza melodica da campioni che è capace di renderli -all’unisono- sia immediati, che capaci di scrivere ottime canzoni – memorabili, nonché longeve nel tempo; in breve, un lavoro perfettamente equilibrato nel trattare e proporre l’inimitabilità del trademark della band, da sempre in prima linea quando la vittoria sul campo di battaglia consiste nel primeggiare sia in durezza che in profonda analisi melodica commutata dalla tradizione tonale folkloristica.
Per un risultato simile è necessaria un’alchimia d’altri tempi, di quella in autentico stato di grazia che possa colorare di eccellenza il songwriting, e “Fornaldarsagor” ne è pieno zeppo: un concentrato di hit splendenti, cannonate che, non vi è dubbio, verranno facilmente ricordate anche tra molti anni fra le migliori in assoluto mai pubblicate dalla band.

Matteo “Theo” Damiani

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