Gennaio 2020 – Imago Mortis

 

Nessuna scelta: il 2020 lo (s)battezziamo e (s)consacriamo senza luce, senza vita, con sole bare aperte e nessuna preghiera – perché il titolo di disco del mese è tutto italiano ed è meritatemente strappato all’armatissima concorrenza -finlandese, greca e tedesca- dagli ormai veterani lombardi Imago Mortis: “Ossa Mortuorum… E Monumentis Resurrectura”, ben poco ridendo ed ancor meno scherzando il quarto full-length del gruppo uscito l’ultimo giorno di gennaio per l’inossidabile collaboratrice artistica e professionale del trio maestro d’occultismo, la storica label francese Drakkar Productions, ha rubato con le sue suggestioni tipicamente locali e d’altri tempi (invero mai così nitide e riuscite nella carriera della comunque pregevolissima band) il cuore di quasi tutta la redazione che ve ne parla dunque spassionatamente prima di passare all’analisi del suo contendente primo; con un apprezzamento condiviso quasi paritario sembrava infatti abbastanza scontato da metà mese in avanti che sarebbero stati gli Aethyrick i campioni di questo inizio d’anno con tutti i più malefici crismi, e anche se per un pelo così non è infine stato va in ogni caso specificato e chiarito a cristalline lettere (quasi quanto la loro musica) che non sono poi assolutamente lontani dall’esserlo.
Occorre davvero dirvi che seguono altri due album di gran pregio consigliati dallo staff, uno dei quali un’apprezzatissima sorpresa per gran parte di noi? Probabilmente no, ed è per questo, oltre al fatto che contro la Grande Madre nessuno può nulla se non offrire incondizionata resa, che tagliamo corto sulle condoglianze e passiamo subito a presentarvi a modo nostro “Ossa Mortuorum…” – perché cupi tempi verranno. Così è scritto, con sangue come inchiostro. E così suonato, con ossa come mazze di tamburo.

 

 

Songwriting stellare e fluido, teatralità mai avuta, storytelling d’eccezionale intensità garantito da interpretazioni vocali magistrali per passione ed inquietante credibilità, nonché un inedito gusto per gli arrangiamenti più sorprendentemente ricercati, a tratti anche elegantemente sofisticati, sono solo alcuni degli ingredienti di valore che rendono “Ossa Mortuorum…”, di stacco e senza la minima ombra di dubbio (nonostante le vette già raggiunte nell’oggi ben distanziato “Ars Obscura”), il lavoro più intraprendente e scanonizzato mai partorito dagli Imago Mortis; proprio per questo un imperdibile viaggio a tutto tondo nel loro Black Metal stregato, maledetto, mai così occulto, locale, ricco di suggestioni tradizionali e di rara immersività e trasporto. Vibri la falce; sopraggiungano la peste, la fame, la miseria e la guerra, affinché il Metal, non dimentica musica di ribellione prima d’ogni altra cosa, torni ad essere un po’ di più il triste raccolto che deve e non può non essere: sangue, fuoco e morte.”

Insinuando con sinistra convinzione una mai così marcata vena occulta, che va di pari passo con il greve e tombale rimbombo del basso, gli Imago Mortis danno sfogo a tutto il talento e l’esperienza maturata in oltre vent’anni di carriera, scatenando e mettendo in atto un’inedita tregenda, inscenando con tetra drammaticità un sinistro racconto coacervo di eresie e condanne. E se il comparto lirico e narrativo viene esaltato da un Abibial infervorato, i brani si presentano più eterogenei, ispirati e curati che mai, andando a formare una struttura ammaliante e suggestiva: definirlo il miglior disco della formazione bergamasca sarebbe quasi riduttivo e non darebbe il giusto peso a quella che si rivela altresì essere una delle uscite più interessanti e riuscite che l’Italia abbia avuto negli ultimi tempi.”

Il nuovo anno comincia assai bene per il nostro paese con l’impeccabile ritorno degli Imago Mortis, bravissimi nell’imprimere un senso di morbosità tutto italiano anche ad un sound molto concreto, strutturalmente scarno e tendenzialmente guitar-oriented come quello ascoltabile nel loro quarto atto di devozione alla maligna causa. Le ruggenti sei corde macinano con scioltezza riff secchi e quadrati, mentre il carisma del leader Abibial nelle esibizioni dal vivo del trio orobico trova conferma dal suo completo stato di grazia ravvisabile nell’opera: non solo voce e testi sono un reale valore aggiunto per ispirazione e narrativa, ma anche il suo basso viene sfruttato appieno riportando alla mente finanche il tono arcigno dei migliori Mortuary Drape.”

“Ormai un sinonimo di garanzia, occulti come solo loro sanno essere, ritornano i nostrani Imago Mortis con quello che potrebbe tranquillamemte essere il loro apice compositivo ad oggi (complice anche una buonissima produzione); un’opera in cui la ferocia del Black Metal e il misticismo sonoro in sintesi tra loro conducono l’ascoltatore per mano tra antiche e oscure leggende del nord Italia, nuovamente enfatizzate dall’uso della lingua madre, vernacolare e dialettale bergamasca, in più occasioni alternate al latino, che donano teatralità ed enfasi ai brani: uno su tutti è caso di “…In Libro Diaboli”, splendida chiusura in inedita chiave marziale che non rinuncia affatto all’oscurità tipica del gruppo.”

Come anticipato, il secondo lavoro in studio (di una trilogia in divenire) dei finlandesi Aethyrick, già adocchiati sul finire del 2018 per merito dell’intrigante debutto “Praxis”. Tornati sul luogo del misfatto sempre tramite The Sinister Flame Records con le atmosfere ruvide e cristalline di “Gnosis”, i due musicisti sono ora pronti a raccogliere con stile quanto di buono seminato – tre nomine da parte dello staff dovrebbero parlare da sole…

“Quaranta minuti di bagliori scintillanti, freddi, cangianti, dispersi in trame fitte di distorsione pungente e parimenti ariose per il maturo utilizzo delle trascendentali tastiere sospese tra ipnotismo ed ispide asperità melodiche; un percorso d’iniziazione, ciò che gli Aethyrick realizzano in “Gnosis”, che parte non a caso dalla cavità a forma di bara rappresentata su fondo della magnifica copertina (quel “Praxis” metaforicamente superato ed ora lontano, ma essenziale) per giungere a picchi di scrittura ed atmosfera che trasudano invidiabile classe e astrattismo sonoro sia quando lanciati in velocità solide ed accattivanti (“Golden Suffering” su tutte), che nei rallentamenti più impalpabili (“Your Mysteries”), in un risultato ricco, malinconico e sempre infuocato che deve tanto ai classici del genere quanta personalità e savoir-faire dimostra al contempo di possedere.”

Che la Finlandia sia da sempre la culla più ricettiva di un certo tipo di Black Metal dai tratti gelidamente sinfonici e dal magico piglio melodico non vi sono dubbi; altresì vero è che da un paio di anni nessuna band dalla Terra dei Mille Laghi aveva prepotentemente offerto un approccio personale e a dir poco convincente come quello che il giovane duo Aethyrick riesce ad esprimere in “Gnosis”. L’equilibrio fra il magistrale apporto tastieristico e il ruvido riffing dipinge movimenti dagli sprazzi mistici e dall’impenetrabile retrogusto onirico, che si traducono in sette tracce solo in parte debitrici della scuola locale e in grado di colpire costantemente e ripetutamente con una vivida forza evocativa.”

La locuzione “un ascolto tira l’altro” è stata spesso usata a sproposito in ambito musicale, ma viene difficile non riciclarla per descrivere il magnetismo fuori dal comune esercitato da “Gnosis” e dalle sue ammalianti aperture di tastiere e chitarra (da brividi i momenti di quest’ultima in acustico). Finlandesi fino al midollo e per nulla intimoriti dal raffronto con i pesi massimi della loro scena, i due strumentisti portano avanti la tradizione melodica nazionale senza inutili complicazioni ma bensì col semplice fiuto per agganci armonici di gran classe, ripartiti senza eccezione in ognuno dei sette eccellenti capitoli: e concludere un disco lasciando nell’ascoltatore non solo appagamento ma anche desiderio di altro materiale è un lusso che oggi si permettono in pochi. Specialmente al secondo lavoro.”

Degli imprevisti Kawir che, prima d’ora perennemente in bilico tra l’opinione solida che hanno di loro i più accaniti fan delle sonorità elleniche nel Black Metal e tutti gli altri che di solido vi hanno sempre e solo trovato una generale perdita di tempo, consegnano alle stampe con il loro ottavo full-length, intitolato “Adrasteia” e pubblicato via Iron Bonehead Productions, quello che con ogni probabilità si dimostra il loro miglior lavoro di sempre. Frase grossa per qualcuno? Leggiamo subito perché non lo è.

Il fascino dell’arte classica e del suo corrispondente folklore trovano finalmente sbocco nella discografia dei greci Kawir. “Adrasteia” è un netto miglioramento rispetto al passato (dove a volte la progressione messa in musica dal gruppo risultava essere fine a se stessa e di inutile prolissità) e riesce a lasciare il segno grazie ad un susseguirsi di canzoni facili da assimilare e ottimamente correlate tra loro: con le qui presenti sei tracce possiamo finalmente goderci tutto il comparto scenografico dei Kawir come ospiti d’onore e non come ostaggi di un sequestro di persona. Tutto il resto, ovvero le sempre presenti trame melodiche, le parti più epiche e questa volta i diversi inserti folkloristici, sono ulteriori punti a favore e conferma di un disco di indubbia piacenza, eleganza e persino cattiveria.”

I Kawir si riconfermano uno dei gruppi più in forma attualmente in Grecia sul versante Pagan Black Metal, bissando senza alcun problema né apparente fatica il successo di “Exilasmos”. Laddove il precedente album si presentava cupo e tragico, pur sempre provvisto di taglio epico, “Adrasteia” accentua e spinge ancor di più sulle sezioni folkloristiche della loro proposta Pagan Metal, complici della solennità anche i cori in voce pulita dell’ospite Alexandros (Macabre Omen, con cui vi è comunanza di direzione intrapresa in questo capitolo), senza tuttavia risparmiarsi nella ferocia del loro lato più puramente Black Metal in un tripudio di riff al fulmicotone, bilanciando e tenendo sempre in positivo bilico le due facce della band. Da segnalare inoltre l’ottimo episodio acustico nella quinta traccia “Colchis”, che rimanda direttamente ai loro connazionali Daemonia Nymphe, in cui troviamo la bellissima voce nordica di Lindy Fay Hella (Wardruna): un alto momento di distensione non privo di pathos prima del gran finale in “Medea”. Insomma, una garanzia.”

“Sono stranamente pochissimi gli act ellenici votati all’enfatica trasposizione sul pentagramma di quel senso di eroismo ed avventura tanto diffuso nel loro bagaglio mitologico; non nuovi invece alla cosa, dal canto loro, con questo ultimo full-length i veterani Kawir puntano senza riserve sull’immediatezza delle epiche melodie in tremolo picking per trasportarci così in mezzo all’Egeo, in preda a maree impetuose mosse da divinità vendicative. Concept e songwriting sono dunque piuttosto semplici in quanto ad idee ma è proprio la loro realizzazione, genuinamente sentita e lontana dal posticcio anche nei punti più audaci, a rendere “Adrasteia” un disco riuscito e da non perdere per tutti gli amanti dell’adrenalina su compact disc.”

Due nomine infine per i tedeschissimi ed absurdissimi Mavorim che, giunti al secondo album in studio, colpiscono in particolar modo due di noi a loro volta decisi a non lesinare complimenti per “Axis Mundi” (fuori anch’esso l’ultimo giorno del mese, tanto per chiuderla a busta con ciò con cui abbiamo iniziato, per Purity Through Fire Records) e della giovane one-man band che in un paio di anni sembra aver già trovato la sua piena cifra stilistica.

La dimestichezza del polistrumentista tedesco con il riffing carico di groove ed intransigenza funge da ariete alla creatura Mavorim per sfondare le barriere del sottosuolo germanico e farsi apprezzare da tutti gli aficionados di questo stile. “Axis Mundi” difatti non vuole essere nulla di più o di meno di un ottimo album Black Metal, la cui ferocia encomiabile compensa ampiamente qualche lieve difetto come l’impiego ancora poco convincente dei synth; l’aderenza del mastermind a certi canoni sonori non gli vieta comunque qualche zampata isolata ma pur sempre di sicura efficacia, sia essa un improvviso coro in clean vocals oppure una brusca sterzata ai limiti del Folk elettrificato, col risultato che i cinquanta minuti di durata più bonus tracks sembreranno a malapena la metà.”

Il precedente EP dello scorso anno aveva destato non poche curiosità verso il progetto Mavorim, che nel giro di poco tempo ritorna con “Axis Mundi”: a dispetto della classica iconografia monocolore, grezza e lo-fi, il Black Metal che troviamo al suo interno ha un taglio discretamente moderno, in cui suoni ferali, mistici e melodie si combinano perfettamente anche grazie al retaggio culturale della Sassonia (regione da cui proviene il progetto) facile da intuire per via di buona parte dei riff dal sapore folkloristico, che rimandano anche agli onnipresenti Absurd, sicura influenza del musicista specie quando si tratta di innestare fiere clean vocals fra i vari scream. Nonostante le molte tracce e la lunga durata per il tipo di proposta, l’album scorre efficacemente anche grazie agli intermezzi Ambient di burzumiana memoria. Da segnalare infine la buona riuscita nella cover di “Kaiserjägerlied” degli statunitensi (e compagni di label) Minenwerfer, resa ancor più tragica ed epica.”

Augurandoci che non sia poi così vero il detto secondo cui chi ben comincia sarebbe o dovrebbe essere già a metà dell’opera, dato che siamo in realtà solo al primo rendez-vous dell’anno per quanto concerne la rubrica mensile che vi porta a scoprire i migliori dischi che hanno infestato cuffie ed impianti stereo della redazione – e l’auspicio è che si continui con altrettanta varietà e qualità nei prossimi, non resta che darci come di consueto appuntamento al prossimo articolo della serie per scoprire tutto ciò che nel frattempo febbraio avrà avuto in serbo per noi amanti di questa piccola e poco illuminata nicchia di musica.
La sabbia nella clessidra scivola inesorabile: spiacenti e vivissime condoglianze da Pagan Storm Webzine.

 

Matteo “Theo” Damiani

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