Febbraio 2023 – Returning

 

Giusto in apertura dell’articolo riepilogativo di gennaio, un mesetto fa, si profilava nemmeno troppo metaforicamente un cielo cupo, nero, ricolmo di disgrazie alate e color della pece, o atmosferiche e saettanti come tuoni pronti a distruggere il suolo: tutte unite, ad ogni modo, quali monito sferrato ad una civilizzazione in procinto di crollare su sé stessa. Pare dunque curiosamente adatto proseguire oggi con i nostri appuntamenti mensili, in occasione del secondo dedicato al 2023 in corso, tramite le vestigia di un disco del mese di febbraio che celebri proprio l’atavismo e l’eterno ritorno ad una forma più arcaica e primordiale di vita, intesa nella sua accezione più omnicomprensiva, in contrasto quindi con tutto ciò che di più orribile siamo costretti a vivere e ogni giorno attorno a noi. I Returning sono del resto una specie di artisti rara, come avrete modo di ascoltare nel loro ambizioso debutto intitolato “Severance” (per il momento pubblicato soltanto in cassetta in tiratura sfortunatamente limitatissima tramite Realm And Ritual Records – ma accompagnata dall’ascolto digitale, come ovvio): fatti della stessa materia e filosofia cascadiana che ha generato veri e propri miracoli in musica nel sottobosco muschioso ed ombroso dell’ultima decade abbondante, ma anche incarnanti una tensione all’arte a tutto tondo plasmata con l’aiuto di altre forme espressive al di fuori delle sette note vestite di nero, che trovano il loro quasi fisiologico spazio in suono accorato ed emotivamente strisciante.
Una catarsi, o meglio ancora una frattura interiore che cerca la trasmutazione e la rivelazione nell’esteriore – ma non verso il reame della morte che viene forse anche più comunemente celebrato quale figura retorica o tropo nel “Totenpass” che lo segue all’interno scaletta odierna sul meglio del mese appena conclusosi, a quasi pari merito (e pari nomine, quantitativamente), o in quello del male primordiale di un “Evil Summons Evil”; forse più vicino a -benché decisamente più ancestrale di- quello distillato in “Nightmare Visions” (dei terzi ed ultimi americani in una lista tutta a stelle e strisce ma condita con un pizzico di Grecia), “Severance” è il vostro punto di partenza nel viaggio all’interno dell’ultimo febbraio e di una senzienza umana tutta da rivalutare.

 

 

I Returning sono proprio una specie rara: da un lato fedeli discepoli e biologici continuatori di un percorso tutto cascadiano che vede nel buio di Wolves In The Throne Room quanto negli Skagos i due lanternini più importanti in fatto d’integrità, indipendenza ed influenza soprattutto concettuale e poetica, quel che emerge da “Severance” è in realtà un interessantissimo connubio dei più raffinati rituali approntati e realizzati tra vecchio e nuovo continente negli ultimi dieci anni (dai Fyrnask, il cui spirito vaga presentissimo nello zolfo e nel fumo ancestrale di “Path Of Ashes”, ai successi degli Altar Of Plagues del periodo “Mammal”), e la trasmutazione estetica di arti altre come teatro, visioni e danza sperimentale che vi dialogano inquiete in nome della libertà, della terra che calpestiamo e dei suoi inestimabili cicli vitali. Un grido dello spirito che resta còlto – nella voce; una ferita in combustione – nella musica; una fiamma di saggezza e ricordo – nel pensiero; l’esibizione che diventa un vero rito – nella realizzazione; una nuova via che ricorda vie antiche note ed ignote – nel complesso: perché non è detto che le nostre mani insanguinate possano lavarsi infine, né è compito dell’ascolto di “Severance” portare a termine un compito tanto sisifeo. Ma quello di farci dimenticare per poter ricordare, per poter dimenticare nuovamente come corpi che si decompongono nella terra e, così, ricordare di nuovo.”

In una selva cascadiana che, da una decina di anni, vede e gode del mutare continuo e indefesso compagine Weaver ormai quasi in solitaria nonché da tempo protesa oltre i confini regionali, i Returning, profetici fin dal nome, scivolano silenziosi e sommersi come scuri ruscelli che si fanno largo fra le radici nodose di una primordialità smarrita. Ma se le spirali libere, aperte e rituali partono dalle suggestioni “Celestial Lineage” e dalle atmosfere fruscianti dei Fauna, il duo di Olympia è anche capace di instillare nei tre lunghi brani un approccio al riffing che pesca dai versanti della recente Europa più atmosferica, muovendosi con insperata lucidità fra le lunghe progressioni in sfaccettati e mutevoli incastri esaltati dal suono bilanciato e dagli sprazzi di oscurità à la Treha Sektori, tutti organicamente integrati nel loro linguaggio. “Severance” è infatti figlio di una visione d’insieme già raggiunta e di uno stile ad un brevissimo passo dal trovare una sua dimensione pienamente propria: verrebbe da definirlo una boccata d’aria fresca se dalla cassetta marchiata Realm And Ritual non uscissero che sbuffi di denso fumo e zaffate di muschio mucido.”

Disco di debutto per gli americani Returning che si caricano sulla spalle tutto il peso del Cascadian Black Metal riportando sulle scene un genere ormai sull’orlo del dimenticatoio. Il pregio del duo di Washington è quello di attingere dalle sonorità tipiche del Cascadian senza però abusare della sua componente naturalistico-folkloristica, andando invece a creare un intelligente mix di ambientazioni, melodie e picchi di aggressività che a tratti mi hanno ricordato più ancora gli Altar Of Plagues pre-“Teethed Glory And Injury”, soprattutto nel modo in cui il sound si sviluppa nei momenti più lenti ed emotivamente strazianti. Sarà lo stupore e il fascino di riascoltare un prodotto di questo preciso tipo con un similare grado di qualità e sensibilità, ma “Severance” è un disco davvero ipnotico dal quale è difficile staccarsi, in cui la progressione continua dovuta alla varietà di atmosfere e soluzioni musicali si materializza in puro compiacimento uditivo. Ascoltate e godetene tutti.”

Amor Fati che (in attesa dei Verminous Serpent…!) ci delizia con misteriose lune rosso sangue ad illuminare la notte stravolgendone i colori, con non-morti, scheletri e zombie che riuniscono spiriti dall’oltretomba: questo e molto altro nella musica degli H​ä​xanu, dopo il successo di “Snare Of All Salvation” del 2020. Tre anni per “Totenpass” sono valsi la pena dell’attesa per lo stuolo di sostenitori, perché il salto in avanti rispetto al buon debutto è innegabile.

“Non l’ennesimo progetto di un musicista forse troppo prolifico, bensì una versione per molti versi decisamente più accessibile e quadrata del miglior progetto di Alex Poole (o per meglio dirla, del miglior parto realizzato da un progetto del compositore statunitense: l’ancora irripetuto “Eschaton Mémoire” del 2017), “Totenpass” uscito a nome H​ä​xanu si mostra al suo assoluto meglio e al massimo della personale intraprendenza quando i pezzi si sviluppano su timing più ampi e di maggiore respiro (l’ottima, solivagante “Thriambus” o l’altrettanto riuscita spirale melodica ascendente di “Sparagmos”), dove tutta la sofisticazione di layer atmosferici che grazia colei che ad oggi è l’ultima prova dei Chaos Moon prende un’altra piega, meno onirica ma altrettanto avvolgente ed accattivante. Ne è ulteriore riprova, dopo un inizio poco indicativo del valore nonché dello stile effettivo del meglio del disco, anche una più contenuta “Threnoidia”: grandi danze tastieristiche impermeano la restante parte degli strumenti e le loro favolose ripartenze ritmico-melodiche, facendo di “Totenpass” un album che cresce non soltanto con gli ascolti ma proprio lungo lo scorrere e l’evolversi della sua stessa tracklist, nonché un’uscita assolutamente da provare.”

La tracotanza energica e slanciata di “Totenpass” è l’anima graffiante di un full-length, il secondo degli statunitensi Häxanu, che pone in primo piano la perizia maniacale del guitar working di Alex Pool e che migliora qualitativamente ogni singolo elemento che caratterizzava il debutto “Snare Of All Salvation”. Dotando il corpo dell’opera di una produzione più raffinata e moderna, così come di un gusto melodico presente eppure mai sopra le righe, gli incastri e le soluzioni ritmiche delle corde si susseguono con gusto un’intraprendenza che donano, in particolare al brillante blocco centrale, un tagliente eclettismo sottile ma incalzante, il quale regge sulle spalle tutti i suoi solidi quarantacinque minuti di durata. Il tuttofare americano incanala questa volta su sentieri più monolitici la propria composizione, mettendo da parte sperimentalismi spesso fini a sé stessi e sfruttando la sua abilità già dimostrata, seppur in tutt’altra veste, nei Chaos Moon di “Eschaton Mémoire” di creare un denso flusso sonoro perturbato e illuminato dal tocco delle tastiere: nel suo essere coinvolgente fin da subito, così come ricco di guizzi e di una buona dose di drammaticità, “Totenpass” ha tutto il potenziale per essere un bel disco per chiunque ed un bellissimo disco per alcuni.”

“Tra titoli in greco e schitarrate nettamente mitteleuropee (con tanto di umlaut infilato nel monicker) sembra esserci davvero poco di americano nei tre quarti d’ora di “Totenpass”, forse un tantino troppi in termini quantitativi ma ciononostante colmi di finissimo Black Metal di foggia tradizionale, capace di alternare muscolarità ed eleganza in egual misura. Quanto riportato nella carta d’identità del progetto non può del resto intaccarne le ottime qualità in fatto di suono e scrittura, assi nella manica del duo sfruttati al massimo delle potenzialità col risultato di aggiungere sull’atlante d’oltreoceano un’altra realtà di alto livello, pronta a contraddire insieme a Stormkeep e relativa compagnia urlante le voci critiche circa l’eccessiva voglia di stupire degli statunitensi: qui l’obbiettivo è farci nuovamente esaltare di fronte a ciò che possono fare una chitarra, un basso, una batteria ed una voce votate all’oscurità, e non serviranno troppi ascolti per capire se gli Häxanu siano riusciti o meno a mantenere la promessa.”

Una pausa e attesa di dodici anni è invece ciò che divide il nuovo “Evil Summons Evil” (Hammerheart Records) dal -non esattamente del tutto riuscito- diretto predecessore “Season Of Darkness”: dalla copertina di Kris Verwimp di memoria “Opus Nocturne” finendo con il suono stesso delle intenzioni musicali dei greci Deviser, che si tratti di veterani irriconosciuti è chiaro – ma il nostro Ordog ci spiega come mai non facciano parte della più solita e probabile squadra dei bolliti; tutto il contrario.

“Difficile non farsi stare simpatici questi Deviser, paradigma vivente dei ritardatari per il treno del successo transitato in terra greca tra il ‘93 e il ‘95, ed oggi ricomparsi sugli scaffali dopo ben dodici anni di stop a ritagliarsi da sé il dovuto spazio tra le seconde se non terze linee. Anche se azzoppato da un ricorso ai tempi medi a tratti sfiancante, lo stesso che purtroppo affligge i deludenti Yoth Iria come un po’ chiunque si ostini a seguire oggigiorno le orme dei primi Rotting Christ, il comeback “Evil Summons Evil” non si perde tuttavia in solforosi eccessi atmosferici ma al contrario resta con i piedi piantati nelle solenni melodie eseguite con asciutta perizia da chitarre di puro gusto mediterraneo, sebbene rinforzate da evidente un afflato orchestrale di fondo. Solo in seguito si inseriscono curate tastiere sinfoniche, voci femminili o corali – ed insomma tutto il corredo locale che qui, però, si spinge sovente verso lidi quasi orientaleggianti nel feeling complessivo, allo stesso tempo aumentando il calore ellenico emanato dal disco (così come dal suo adorabile artwork capricefalo) e rinfrescandone una proposta che altrove è altrimenti ormai sempre più scarsamente digeribile.”

Parto inaspettatamente comprensibile anche se al solito difficilotto, infine, per quella label che tutti hanno presente ma che nessuno ha bene chiaro come si chiami: se Mystískaos, Dissociative Visions o Fallen Empire, o cos’altro. Tra una supercazzola e l’altra, quel che più preme tuttavia è che “Nightmare Visions” dei Theophonos sia un gran disco da non lasciarsi sfuggire, soprettutto se avete già avuto modo di apprezzare i Serpent Column.

Improvviso, inaspettato e frenetico come il più tormentoso degli incubi notturni, il debutto dei Theophonos segna la nascita di un nuovo progetto firmato Jimmy Hamzey, che sbuca fra le le ceneri dei Serpent Column. Fra dissolvenze ambientali e ritmiche non distanti da soluzioni di reminiscenza di una certa trilogia 777 e le geometrie più quadrate e secche dei Deathspell Omega di “Drought”, i Theophonos trovano il punto di partenza per reinterpretare in chiave marcatamente Math-Core la loro idea di Black Metal: velenosi e spiraleggianti, i brani si susseguono in modo discontinuo e frammentario sia nel timing che nelle soluzioni, in un vortice caotico di brani dal piglio più astratto e progressivo come “Go On To Your Gallows” e momenti dall’esasperante e malato groove come “Nightmare Visionary” o “Thousand Imaginary Swords”. Coadiuvate dal supporto visivo delle surreali illustrazioni di Hafsteinn Ársælsson, le strutture schizzate e cacofoniche della composizione sono croce e delizia della release, dall’incedere incedere fresco ma talvolta incoerente, e che rendono il debutto del neonato progetto made in U.S.A. un esperimento nel complesso riuscito e interessante, in grado di affascinare per via delle sue trame asfissianti e ossessive.”

Nient’altro da segnalare a titolo personale per questo scorso mese, giunti a questo punto; a parte che chi dovesse essere rimasto assetato di violenza potrà trovare pane per i suoi denti nei Terrestrial Hospice di “Caviary To The General” (fuori per Ancient Dead Productions), per dirne solo una, e che chi avesse apprezzato più del normale i Tulus del come-back “Old Old Death” nel 2020 non farà fatica ad amare anche il nuovo “Fandens Kall” (Soulseller Records), così come agli amanti più duri e puri delle proposte più quadrate e tutto tranne che sregolate non mancherà sicura soddisfazione nell’ascoltare i nuovi lavori di Total Hate ed Azaghal (rispettivamente “Alttarimme On Luista Tehty” e “Marching Towards Humanicide”, Immortal Frost ed Eisenwald)…
Marzo pazzerello sarà invece un mese di grandi contrasti, ve lo possiamo già anticipare. Anche se come e perché lo scopriremo nella pratica soltanto tra un mesetto scarso di attesa e ascolti ancora…

 

Matteo “Theo” Damiani

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