Duivel – “Tirades Uit De Hel” (2020)

Artist: Duivel
Title: Tirades Uit De Hel
Label: Ván Records
Year: 2020
Genre: Black Metal
Country: Paesi Bassi

Tracklist:
1. “Schim Der Wreken”
2. “Offerande Aan De Schimmen Der Afgestorvenen”
3. “Het Zwarte Hart Van Walging”
4. “Dolend Verteerd”
5. “Hond Der Primaten”
6. “Sluimering Van De Dood”

Quello dei Duivel è un successo con ogni probabilità annunciato su carta, eppure non per questo motivo meno entusiasmante o terribilmente imprevedibile per risultato: un -più che promettente, già direttamente ottimo- EP, sebbene dotato di due sole tracce, è stato rilasciato giusto un anno fa come antipasto e servito in totale sordina a presentazione di un novello progetto che, con entrambi i membri degli Urfaust a farvi baldoria a briglia sciolta (il batterista VRDRBR qui in pianta stabile come sorprendente chitarrista, ed il cantante IX a prestare invece oggi il suo inconfondibile timbro come ospite) insieme ad altri volti fissi e di passaggio tra più e meno nuovi, fa sua e restituisce con stranezze nonché grado di riuscita, intensità e pregevolezza massima tutta l’efferatezza luciferina e l’abominevole lordura che negli ultimi tempi ribolle con mefitico olezzo nell’arrugginita pentola che è il panorama Black Metal dei Paesi Bassi.

Il logo della band

Non si commetta tuttavia, alla luce di una comunque dovuta introduzione di contesto, l’errore grossolano di approcciarsi a “Tirades Uit De Hel”, esordio effettivo del trio d’Orange che si snoda in un’abbondante mezz’ora animalesca ma assolutamente non priva di raffinatezze sotto come sopra pelle, quale una variazione sul tema (o peggio un progetto parallelo, un mero divertissement) della più celebre tra le band che costituiscono il nido artistico dei musicisti coinvolti: alcuni paralleli di sensibilità e predilezioni stilistiche (ed ancor più metodiche o metodologiche) con gli Urfaust sono indubbie e finanche immediate, tuttavia risulta altrettanto evidente come i Duivel incanalino l’energia demoniaca che contraddistingue e compone l’ethos di mutuo passaggio tra gli act che -come funghi- stanno spuntando più recentemente nell’omboroso e tossico sottobosco di Olanda e dintorni, nella direzione totalmente a sé di un Black Metal lo-fi, diabolicamente rumoroso, malsano, e tuttavia anche fatto di una rarissima ricercatezza in spunti, negli arrangiamenti e, in sostanza, nell’intera pletora di modi con cui mediante una solida varietà viene sviscerata la materia che tutto sommato resta volutamente scarna per strumenti, non lavorata, grezza nei tratteggi superiori quanto brillante nelle atipiche idee e nel gusto che questi celano alla disattenzione, usando proprio il linguaggio primitivo -quello sulfureo e più immediato- quale veicolo principale per trasmettere esalazioni irrespirabili in dettagli fetidi e riservare, dunque solo ad attenti ascolti, una bontà compositiva che ha del sorprendente in ognuno dei sei brani di cui il debut album si compone.

La band

Miasma di zolfo, clangore di metallo, mistica di oscurità bucata da pigmenti caldi che gettano l’ombra di corna e sinistri prodigi – il baccanale è senza dubbio di natura malevola, e si nutre tanto delle malizie musicali gettate a ribollire nel calderone compositivo assieme alle ossa spolpate di strutture scheletriche -quelle delle chitarre spietatamente svuotate di frequenze (sia basse che medie) per lacerare i timpani con le rifrazioni di gain mostruosi la cui secchezza è pareggiata solo da quella del rullante che, smanioso, batte e martella in tempi gustosissimi (profondamente ritmati, benché semplici)- quanto si mostra satollo di visioni psicotiche, allucinate e mortali, celebranti con ricchezza una proposta che non si limita mai ad essere depravata bensì regala in ogni singola canzone il calibro di momenti sapidi e riconoscibili, memorizzabili, cominciando con quelli più scanzonati, disinvolti, ricchi di scioltezza (semplicemente irresistibile “Offerande…” e “Dolend Verteerd” ancor di più), e finendo con quelli estremamente lanciati eppure altrettanto prelibati.
Tutti i pezzi, pertanto, partendo dalla breve opener “Schim Der Wreken” (uno schiaffo in pieno volto à la “Nattens Madrigal”, che solo sommariamente mostra il nerissimo paradigma tra l’indiavolato ed il fumoso su cui il trio costruisce la sua poetica) per concludere con la squisita “Sluimering Van De Dood”, pur fedele nella sua parafrasi del diktat d’intensità “Transilvanian Hunger” – quella per cui è garantito un inizio esplosivo e compiuto, ma mai una fine (come nei giri rotondi ed ipnotici di “Het Zwarte Hart Van Walging”) – tutti, si diceva, mettono a ferro e fuoco i padiglioni auricolari dell’ascoltatore regalando ganci memorabili, ora per la firma di un tempo particolarmente catchy o l’impiego singolare di una delle quattro ugole che -parimenti indisponenti- si alternano con varietà nei brani senza suonare slegate tra loro (dal canto dannato di IX in “Dolend Verteerd” a quello orrido nella paludosa “Hond Der Primaten” quasi è difficile notare una differenza di paternità putativa), ora invece per la magia modulata dai synth mefistofelici che disegnano squarci e passaggi d’incanto quasi folkloristico e fiabesco, arcane e velenose sensazioni lo-fi nel marasma infernale ritmico. Questi ultimi sono l’effettiva arma segreta con cui “Tirades Uit De Hel” genera dipendenza ascolto dopo ascolto, per via delle diversificazioni che (come davvero raramente accade) vengono portate a valorizzare in parossistica sinergia un contesto che, croce e delizia, d’altro canto attirerebbe sulla lunga proprio in quanto raw e sgarbato: si notino le preziose diversità in seno anche solo ad “Offerande…” ed “Het Zwarte Hart Van Walging” rispetto a tutte le altre, e si faccia caso a quanto siano proprio queste a calibrare il complesso gioco tra immediatezza e sotterranea particolarità dell’album.
L’approccio melodico generale merita infine menzione totalmente a parte: sgraziato, atipico, quasi volgare e stridente (si prendano gli ultimi due brani come caliginoso esempio), ricamato da diavoli specialmente in riff scarnificati, sanguinolenti, spigolosi e curiosi nella misura in cui questi non falliscano tuttavia a catturare l’orecchio; sorprendenti in quella della genuina naturalezza con cui i Duivel riescono nell’arduo compito di arrangiare con finezza ogni singolo elemento lasciando il risultato finale coeso e sfaccettato, grezzo e ricercato, gustoso e repellente, incrostato di sangue ed impurità – facendo costantemente respirare la musica per merito di un grande valore atmosferico di fondo nonostante l’efferatezza insolente. Va da sé che, dunque, peculiarità come ad esempio le suggestioni mutuate dalla corte della tradizione Dark Heavy Metal (la Danimarca non è del resto geograficamente così distante…) siano rese irriconoscibili nell’amalgama da una incrustatio di sporco irremovibile; quel che ancor di più però merita attenzione è altresì come il nucleo compositivo del trio neerlandese faccia sembrare il processo semplicissimo, come fosse risultato della più grande ed inevitabile naturalezza e non di un intrigo dalla conditio tanto dissacrante quanto talentuosa, una che li propone fin dal principio non più come debuttanti d’interesse ma come realtà di già effettivo valore senza necessità di seconde repliche.

Casinista, incendiario, sgraziato eppure mutaforma, eclettico e ricolmo di sottili diavolerie d’arrangiamento in una composizione di gran classe, “Tirades Uit De Hel” è insomma un full-length di debutto trascinante, un carnaio pieno di carattere e dinamismo,un massacro di vibrante energia ed infida stregoneria, di sicura longevità e cionostante un lavoro semplice da assimilare ed apprezzare qualora avvezzi alle sonorità più sporche e meno rifinite in superficie; un centro pieno vestito da una produzione che -con inaspettata nitidezza per il contesto- lascia godere appieno di ogni assordante dettaglio, ogni penetrante fischio di feedback, ogni ghigno in chiusura delle risate sguaiate di sardonici demonietti che sacramentano, cantano e suonano con infuocate lire la forza e il trionfo del pandemonio in terra, nonché ogni genuina imprecisione lasciata a sedimentare, a dimostrazione di una visione d’insieme che fa sposare perfettamente la più immediata ferocia con la sgangheratezza più irresistibile, le intuizioni di maggior gusto con le sferzate più debordanti in un matrimonio blasfemo – fondamentalmente traboccante d’immondo e dei pericoli più tangibili.

Matteo “Theo” Damiani

Precedente Top 2020 Redazione Pagan Storm Webzine (Parte I) Successivo Weekly Playlist N.18 (2020)