Arkona – “Age Of Capricorn” (2019)

Artist: Arkona
Title: Age Of Capricorn
Label: Debemur Morti Productions
Year: 2019
Genre: Black Metal
Country: Polonia

Tracklist:
1. “Stellar Inferno”

2. “Alone Among Wolves”
3. “Age Of Capricorn”
4. “Deathskull Mystherium”
5. “Towards The Dark”
6. “Grand Manifest Of Death”

Che la lampante grandezza dell’evoluzione in maturazione intercorsa nella carriera dei polacchi Arkona fosse pari solo alla solidità e consistenza del loro operato era già divenuto abbondantemente chiaro all’uscita del sesto full-length, “Lunaris”, il primo approdo alle sublimi cure di Debemur Morti Productions.

Il logo della band

È tuttavia innegabile che la perizia e l’estrema costanza qualitativa con cui il gruppo polacco ha costruito tassello dopo tassello il suo pregevolissimo stile, inanellandovi una ricerca mai sfarzosa ma sempre presente nonostante l’attaccamento strenuo (quasi nostalgico ed atemporale) ai lemmi più integerrimi del Black Metal degli anni ’90, avrebbero meritato di essere scoperte dagli appassionati ben prima del 2016 qualora considerati i venticinque anni d’illustre carriera discografica e i finanche seminali esordi; e il rifermento a ciò che la band è riuscita a compiere prima del picco qualitativo raggiunto nel fortunatissimo penultimo album non vuole essere casuale o circostanziale, dal momento che nel nuovo “Age Of Capricorn” gli Arkona si servono proprio della reinvenzione della parte centrale della propria discografia (quella dei primi anni ’00 e della dicotomia cromatica tra “Nocturnal Arkonian Hordes” e “Konstelacja Lodu”) per portare alle estreme conseguenze il discorso sorprendentemente iniziato con il sofisticato “Lunaris”.
Se l’album del 2016 accompagnava a splendido compimento un abbozzo (prima ancora acerbo) di vaga sperimentazione mediante l’introduzione più massiccia di tastiere e sintetizzatori per rarefare l’atmosfera, mischiata all’oscurità dei tempi più lenti, di ciò che tra alti e bassi fu insomma per primo “Chaos.Fire.Ice”, “Age Of Capricorn” usa invece proprio le armi già sapientemente affilate nel suo diretto predecessore -che inevitabilmente ha segnato svolta e pietra di paragone per il gruppo- con l’intento di ritrovare in una veste completamente nuova la freddezza e l’efferatezza che nell’ipnotica coppia di album targati Eclipse Productions, nel 2002-2003, avevano fortemente segnato lo stile del gruppo prima dello stand-by d’ibernazione che durò fino al ritorno del 2014.

La band

Le commistioni Dark Ambient sperimentate negli ultimi anni rimangono pertanto forti (e si colorano anzi di un’inquietudine profonda che sfiora inediti territori di fascinazione In Slaughter Natives fin dall’apertura dell’album in “Stellar Inferno” – ripresi poi con maestria anche, ma non solo, nell’introduzione alla conclusione di fibrillante, schiacciante oscurità che è “Grand Manifestation Of Death”), tuttavia quelle che più godono di maggiorata raffinatezza sono da riscontrare nei passaggi decadentemente sinfonici ottimamente dosati nell’immagine come fondo della tela; se “Lunaris” aveva dalla sua mostrato una forte propensione alla cinematografia oscura, al dettaglio validante l’intero quadro nella scrittura di partiture epiche (ritrovabile oggi in episodi come la malinconica tragicità di “Towards The Dark”), la stessa vena viene in “Age Of Capricorn” sviluppata con il proverbiale passo indietro (in visione stil-cronologica) che tuttavia non ne sottintende mancanza bensì un impiego ancor più signorile (seppur apparentemente minore) all’interno di strutture che sono di rimando più serrate e ritmicamente complesse, incrementate in velocità d’esecuzione e per questo riportanti al centro del discorso il riffing fatto di ringhi in minore estremamente folti da sempre punto di forza dell’ossatura intima dei brani. Il risultato complessivo è senz’altro meno immediato e necessita di svariati ascolti per rivelarsi in tutto il suo potenziale, in quanto fitto ed estremamente denso, ma proprio per questo non tarda a mostrarsi più profondo e longevo che mai.
Si prendano d’esempio lampante gli organi lugubremente ululati al chiaro di luna, o i loro toni replicati con vivido calore dai sintetizzatori che si distendono a mappa capillare nel sostrato esecutivo dei pezzi, ormai divenuti un punto chiave nella cementificazione d’atmosfera gotica i cui pinnacoli innalzano enormemente la varietà e sprezzatura del sound Arkona dal precedente disco: la maestosa title-track, l’ombrosa “Stellar Inferno”, l’inquietudine di “Alone Among Wolves” – quasi ogni brano offre infiniti motivi d’inserimento alla band, di lavorazione, rinforzando ulteriormente il raffinato gusto melodico nascosto in tale sede di tasti bianchi e neri o nella pennellatura forsennata delle corde distorte in cui vengono incastrate gemme tonali durante le bordate più ronzanti e tirate che, anche al netto della coercizione esercitata sui padiglioni auricolari del malcapitato, con una tale ricercatezza non dimenticano mai di essere trascinanti.
Le costellazioni di blast-beat sono scrutate e studiate con precisione chirurgica (il suono del pedale quando usato doppio e a tappeto riprende con volontà le meccanicità asettiche della drum-machine che fu, per velocità, pur prestandosi in mascolina fisicità), e vengono fedelmente percorse dalle strettezze chitarristiche per polverizzare plettri e corde (sublimi nel distendersi a sorpresa generando shock termico nella scrittura, si faccia riferimento ad esempio alla pregevolissima seconda parte dell’opener), e in ciò l’autentica cannonata “Deathskull Mystherium”, certamente picco di estremismo sonoro nell’album nonché uno dei brani più feroci dell’intera discografia (non proprio facile, peraltro), è forse l’esempio più clamoroso ed eclatante; ciononostante -e forse proprio grazie ad un simile contraltare-, è il gusto noir che faceva inedito capolino nel precedente disco, oggi sempre più Dark in termini atmosferici, estetici e poetici, a non mancare di farsi ulteriormente denso, viscoso ed opprimente proprio in fedele sincronia con l’incrementare dei bpm nella musica degli Arkona.

“Age Of Capricorn” è dunque un album affilato, non particolarmente immediato per scelte che risiedono in una lungimirante visione complessiva, pregno di un nichilismo di sicuro valore, mai rivoluzionario se non nel suo preciso schema di annullamento e distruzione, e persino radicale senza mai essere reazionario – un lavoro di alchimia e cesello sulle qualità mostrate in venticinque anni, e qui interessantemente ri-orchestrate con dosate novità, che mostra la band replicare la riuscita del precedente capitolo facendo ottimo uso della maturazione raggiunta ma alzando l’asticella in un’altra -perfettamente riconoscibile- direzione: banalmente imperdibile per i fan del gruppo, in sostanza ascolto necessario per gli amanti del genere, in meno di cinquanta minuti mostra con spietatezza invidiabile quanto la storia degli Arkona sia una di dedizione alla causa, di sincerità d’operato e ciononostante di reinvenzione, nonché di totale assenza di repliche inutili in lavori sempre dritti al punto e persino graziati da una non trascurabile profondità – non gregari ma, dal loro canto e modo, sempre eroi dell’underground forieri di un Black Metal cristallizzato nel tempo eppure acuto, orgogliosamente grezzo e ironicamente per palati fini, in parte moderno ma lontanissimo dai trend e nondimeno sempre attuale; ed è narrata al suo meglio in “Age Of Capricorn”.
Trionfi la morte – perisca il superfluo.

Matteo “Theo” Damiani

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