Temnozor – “Haunted Dreamscapes” (2010)

Artist: Temnozor
Title: Haunted Dreamscapes
Label: Eastside Records
Year: 2010
Genre: Folk/Black Metal
Country: Russia

Tracklist:
1. “Caves Of Death”

2. “Evilgod’s Ravens”
3. “Sunwheels Of Solstice”
4. “Haunted Dreamscapes”
5. “Chalice Of Morrow”

6. “Heart Of Crane Distances”
7. “Silent Be The Wind”

Tradizióne s. f. [dal lat. traditio -onis, propr. «consegna, trasmissione», der. di tradĕre «consegnare»]
1. Nel sign. etimologico indicante la consegna di una cosa mobile o immobile, che ha per effetto il trasferimento del possesso della cosa […].
2. Trasmissione nel tempo, da una generazione a quelle successive, di memorie, notizie, testimonianze; anche le memorie così conservate: […] racconti storici, miti, poesie, formule sacre, ecc. […]”

Il connubio tra l’approccio lirico tradizionale (nell’accezione sopra riportata del termine) e le sonorità proprie del lessico musicale estremo, nei paesi dell’Est Europa, è ormai ben noto e sdoganato da anni. Tuttavia, è sempre stato difficile rintracciare una qualitativamente alta fattura per entrambe le componenti, contemporaneamente, nella maggior parte dei progetti spuntati come funghi -negli ultimi dieci anni- dal vastissimo sottobosco ombroso della parte orientale del vecchio continente.
A fronte di un’ottima ispirazione in fatto di scrittura sul pentagramma, spesso e volentieri, non risponde un’altrettanto ampia conoscenza del proprio retaggio culturale o una trattazione credibile. Al contrario, ci si è trovati anche spesso innanzi a liriche sentite e ben congeniate, sotto qualunque punto di vista (dalla ricerca all’espressione formale stessa), che per la poca gioia dell’ascoltatore si infrangevano però contro il duro scoglio rappresentato da una componente -meramente musicale- ben poco incisiva o quantomeno priva di qualsivoglia ispirazione o forma di interesse.
Uno progetto che, negli anni e mediante parche ma qualitativamente consistenti uscite, si è ritagliato il suo meritatissimo posto all’interno dei pochi in grado di unire alla perfezione (tanto da rendere inscindibili tra loro) le due forme espressive succitate, è senz’alcuna ombra di dubbio quello dei russi Temnozor.

Il logo della band

La travagliata biografia della band vede la sua genesi nel 1997, poi l’uscita di un grezzo ma tangibile debutto su full-length nell’anno successivo (“Sorcery Is Strengthening The Black Glory Of Rus” unicamente su nastro per Stellar Winter Records) e, infine, l’abbandono dei due strumentisti fondatori nel 2001. Tuttavia, il rapporto con la connazionale etichetta non si limitava, a conti fatti, alla mera produzione e (scarsa) distribuzione del primo platter in questione: il proprietario della label è infatti sempre stato componente e parte integrante della band come curatore del lato poetico-lirico dei pezzi. Così, allo scioglimento formale della prima incarnazione dei Temnozor, il Nostro ha trovato nel polistrumentista e master-mind Svyagir (insieme all’opera, successivamente, anche nei Walknut) e nel flautista Ratibor i due nuovi componenti -nonché scrittori delle musiche- per la band.
A seguito di quella che possiamo definire la resurrezione tramite ceneri dei russi, scansante un infausto, passivo e laconico oblio, vengono prodotti e rilasciati altri tre dischi: “Horizons…” nel 2003, l’acclamato “Folkstorm Of The Azure Nights” del 2005 e, ad oggi infine, “Haunted Dreamscapes” oggetto del presente scritto.

La band

I tormentati scenari onirici stivati dai Nostri prendono forma a cavallo tra il 2009 e il 2010 e vengono rilasciati sotto forma di full-length da sette ampi e corposi brani, per una durata complessiva di circa quaranta minuti di ottima musica. La label di riferimento per l’amata madre patria è come sempre la consanguinea Stellar Winter Records, ogni versione inglese per il mercato europeo è invece affidata alle mani della piccola ma professionale Eastside Records.
Il disco si apre con “Caves Of Death”, che funge da introduzione con le sue coordinate stilistiche fortemente Dark-Ambient, dove il narrato intrecciato con l’angosciante e temibile sezione di sintetizzatori, e brevi sprazzi di accenno folkloristico, non solo ricorda l’incipit di “Om” dei transilvani Negură Bunget (Code666 Records, 2005) ma prepara l’ascoltatore agli oscuri canti tradizionali che si susseguiranno di lì a poco. La vera e propria prima freccia nella faretra di “Haunted Dreamscapes” è infatti scoccata dalle ritmiche sostenute e lo screaming tagliente di “Evilgod’s Ravens”, in cui la componente più estrema e Black Metal -di lampante stampo slavo– si fonde con maestria alle timbriche dei flauti traversi e l’acidità tipica delle cornamuse est europee.
La grande importanza donata al batterismo in fase compositiva, variegato e stilisticamente molto incentrato sugli accenti donati dai vari hi-hat, ride, crash e splash (ab)usati quasi in egual misura, continua a rafforzare la parte più estrema del platter anche in “Sunwheels Of Solstice”, la quale si assesta però in un mid-tempo cadenzato e tradizionale, con l’approccio stilistico tipico dei consacrati lavori di Storm e Isengard (piuttosto che il Folk Metal in voga fino ad un lustro fa) con una però grande importanza donata agli strati di tatiere infondenti drammaticità e pathos nei bridge.
La title-track concede riposo all’avventore con la sua dolcezza sognante che tradisce un sicuro retaggio Neo-Folk d’annata da parte di Svyagir. Sono proprio, tra gli altri elementi, i suoi sintetizzatori ad accompagnarci verso la seconda metà del disco, che mantiene le coordinate del mid-tempo granitico arricchito da importanti variazioni con “Chalice Of Morrow”, probabilmente il brano dal taglio più epico e solenne, dove l’attenzione è tutta spostata verso il lato sciamanico e Folk della band, in un riuscitissimo connubio di riffing secco e tagliente, strumenti tradizionali nel pieno del loro utilizzo e il tipico escamotage di basso (di scuola originariamente norvegese) che sfrutta le frammiste progressioni armoniche in maggiore.
La successiva “Heart Of Crane Distances”, dopo una lunghissima introduzione acustica, esplode letteralmente nell’accelerazione che è il picco emotivo dell’album, rappresentando non solo uno dei momenti compositivamente più alti della carriera della band, ma anche il pezzo più struggente ed emozionale dagli stessi mai composto.
I due addetti alle parti vocali e corali in pulito replicano l’ottima e sentita prova (i testi sono tutti in lingua madre), avvalorata per tutto l’album, anche nella conclusiva e ieratica “Silent Be The Wind”, che chiude più che adeguatamente l’oscuro viaggio intrapreso.

Le circostanze hanno voluto i Temnozor tra i pochi veri e autentici araldici alfieri di ostinazione proterva, nel non comune compito di rievocare, conservare e trasmettere, tradizioni (si suppone, quanto erroneamente!) ormai scomparse in musica. Scranno occupato da fresche e moderne produzioni di esegeti culturali ispezionanti il passato come insolubile ispirazione.
“Haunted Dreamscapes” è, invero, frutto e portavoce di anni di maturazione e aggiustamenti millimetrici ad una proposta valida fin dal principio: frutto di una bravura reale, tutt’altro che casuale o circostanziale.

“Senza tradizione, l’Arte è un gregge di pecore senza pastore. Senza innovazione, è un cadavere.” (Winston Churchill)

Matteo “Theo” Damiani

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