Kampfar – “Djevelmakt” (2014)

Artist: Kampfar
Title: Djevelmakt
Label: Indie Recordings
Year: 2014
Genre: Black/Folk Metal
Country: Novegia

Tracklist:
1. “Mylder”
2. “Kujon”
3. “Blod, Eder Og Galle”
4. “Swarm Norvegicus”
5. “Fortapelse”
6. “De Dødes Fane”
7. “Svarte Sjelers Salme”
8. “Our Hounds, Our Legion”

I Kampfar: nonostante l’inizio della loro attività risalga all’ormai ben lontano 1994, hanno sempre innegabilmente ed inspiegabilmente ottenuto e raccolto molto meno di quello che, con la qualità altissima delle loro pubblicazioni in vent’anni di musica, avrebbero senz’altro meritato.
Provenienti dalla celebre Bergen, in Norvegia, debuttano sulla lunga distanza solamente nel ’97 con il memorabile “Mellom Skogkledde Aaser” (dopo però ottime pubblicazioni minori, tra cui il demo del 1995 e l’affatto trascurabile EP omonimo dell’anno succesivo che li fece conoscere al pubblico più underground del freddo paese scandinavo). Dimostreranno da subito, con il seguito del 1999, “Fra Underverdenen”, che il debutto tutto era tranne che un fuoco di paglia (il secondo disco fu tra l’altro stilisticamente anticipato dall’ottimo EP “Norse” del 1998).

Il logo della band

Dopo un periodo di pubblicazioni annuali la band, senza mai dichiarare lo scioglimento, vive una fase di profondo stallo e di inattività discografica, della durata di ben sette lunghi anni, che vedrà il suo finire solo con il sopraggiungere dell’accordo con l’austriaca Napalm Records nel 2005 (le prime due opere della band sono state rilasciate rispettivamente dalla Malicious Records e dalla olandese Hammerheart Records) ed il ritorno effettivo con l’ottimo “Kvass” del 2006, che non tradì minimamente le (giustamente alte) aspettative dei vari fan negli anni acquisiti dal combo nativo di Fredrikstad. L’accordo con la label austriaca durerà fino al 2013, dopo la pubblicazione di altri due ottimi lavori come “Heimgang” del 2008 e “Mare” del 2011, quando la band dichiara un accordo con la conterranea Indie Recordings (che negli anni ha voluto nel suo roster sempre più band norvegesi, gli esempi celebri si sprecano: Satyricon, Enslaved, Solefald, Borknagar, Vreid e Wardruna, solo per citare i primi che sopraggiungono alla mente) per la pubblicazione del suo nuovo “Djevelmakt”, sesto capitolo della discografia di full-length targata Kampfar.

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La band

Il disco, stilisticamente, non presenta diversi cambiamenti (radicali) rispetto al passato -recente e non- della band: certo, vi è una sempre maggiore maturità e consapevolezza della capacità compositiva stessa, ma ci troviamo di fronte ad un ennesimo disco di qualità elevatissima sfornato dal quartetto capitanato dal carismatico leader Per-Joar Spydevold, in arte Dolk.
Questo nuovo “Djevelmakt”, composto da otto tracce per una durata complessiva di circa tre quarti d’ora, vede le sue danze aperte dal deciso singolo “Mylder”: un mid-tempo epico e solenne, introdotto da giri di pianoforte, dal grande incedere -a tratti marziale- prima della sfuriata preludio di uno stacco dal sapore atmosferico, cupo ma essenzialmente folkloristico gestito totalmente dai sintetizzatori. Questo folklore, spesso dal tono quasi minaccioso, lo si può ritrovare in tutta la carriera della band, che da sempre lo introduce in modo elegante e senza l’ausilio di particolare strumentazione acustica, ma plasmando direttamente intorno a melodie tradizionali la componente più prettamente Black Metal.
Il compito di accelerare le ritmiche del disco è perfettamente adempito dalla veloce ed incalzante “Kujon”, con doppia cassa sfruttata con maestria sui bridge e sul ritornello, seguita da “Blod, Eder Og Galle”: l’attacco del pezzo ricorda, per chi non conoscesse la band altresì solita sfruttare sonorità simili, per certi versi le trame folkloristiche di gruppi come i finlandesi Finntroll, gli Helheim meno feroci o, ancor più banalmente, le atmosfere più tradizionali dei connazionali Satyricon nel celebre capolavoro “Dark Medieval Times”. Si tratta giusto di un attimo di tregua e d’introduzione, perché la band sfodera di nuovo tutta la sua furia tipicamente Black Metal di scuola norvegese anni metà ’90 (a dimostrazione che l’attitudine e gli intenti non sono minimamente cambiati rispetto a vent’anni orsono).
Giunge il momento di un altro rallentamento, affidato al secondo singolo estratto in anteprima dal’album: “Swarm Norvegicus” è la prima delle due sole canzoni in lingua d’Albione presenti nel platter (le altre sei sono in norvegese, lingua madre dei componenti della band), ottima per spezzare dalle due cannonate adrenaliniche appena sparate. Il tono del brano è solenne, ma al contempo malsano (è descritta, non solo liricamente, l’epidemia di peste che attraversò la Norvegia, e ne decimò la popolazione, nel 1349) e più vagamente atmosferico, seguito saggiamente dall’ottima “Fortapelse”, decisamente uno degli episodi più folkloristici dell’intero disco, grazie alle melodie di pianoforte poste in apertura ma riprese per gran parte della canzone anche dal riffing delle chitarre. Giunti a questo punto del disco ci accorgiamo di come il Nostro demiurgo Dolk (alla voce) stia svolgendo una delle sue prestazioni migliori di sempre, risultando sempre emozionante e impeccabilmente inserito nella parte, interpretando sempre con grinta e cattiveria ogni parte di pezzo.
Ed è proprio un urlo lacerante di Dolk ad aprire, insieme al ronzio del riffing in tremolo picking e dei blast beat, la tiratissima “De Dødes Fane”, probabilmente uno dei momenti più prettamente estremi, Black Metal ed intensi (nonché più alti, anche se non è per nulla facile scegliere) dell’intero “Djevemakt”. Mancano solo due pezzi e ci rendiamo conto di come la godibilità degli stessi abbia fatto letteralmente volare il tempo: giunge senza pausa di sorta la carica inarrestabile ed irresistibile di “Svarte Sjelers Salme”, uno dei momenti più immediatamente “catchy” (da prendere con le pinze questo termine, in una proposta simile), preludio alla conclusione finale affidata alla bellissima e senz’altro più cadenzata “Our Hounds, Our Legion” -secondo pezzo in inglese al quale facevo cenno poco più in alto- che presenta una chiusura semplicemente perfetta, con la sua accelerazione verso la metà, dove troviamo anche cori maschili e recitativi della sempre più eccelsa prova del cantante Dolk (nulla togliere a tutti gli altri musicisti che eseguono, anch’essi, prove ineccepibili) che probabilmente vale l’acquisto del disco da sola.

In conclusione, oltre alla qualità altissima di ogni singolo brano, una produzione ottima e perfettamente bilanciata, nonché adeguata al contesto delle emozioni trasmesse, risulta essere la classica ciliegina sulla torta.
Sicuramente uno dei dischi più belli, nel genere, dell’anno 2014… Fatelo vostro senza remore. Se poi non conoscete la band, e siete fan o estimatori delle sonorità sopra descritte, fateli vostri direttamente tutti: non ve ne pentirete.

Matteo “Theo” Damiani

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