Macabre Omen – “Gods Of War – At War” (2015)

Artist: Macabre Omen
Title: Gods Of War – At War
Label: Ván Records
Year: 2015
Genre: Viking/Black Metal
Country: Grecia

Tracklist:
1. “I See, The Sea”
2. “Gods Of War”
3. “Man Of 300 Voices”
4. “Hellenes Do Not Fight Like Heroes, Heroes Fight Like Hellenes”
5. “From Son To Father”
6. “Rhodian Pride”
7. “Alexandros – Ode A”

8. “Alexandros – Ode B”

A distanza di due lustri dal debutto su full-length tornano a dare maestoso sfoggio di sé i greci Macabre Omen, monicker sconosciuto ai più e da ben ventuno anni fieramente relegato all’ambito underground con una proposta che, arrivata al secondo disco in carriera, pare però essere meritevole di ben più di qualche ascoltatore ancor più che in passato.

Il logo della band

Dopo la bellezza di sette pubblicazioni minori (distribuite in tre demo e quattro split con altri act fondamentalmente underground) giungevano dieci anni fa i Nostri al traguardo del primo album in studio. “The Ancient Returns”, questo il titolo del disco rilasciato dalla piccola e misconosciuta Blutreinheit Productions, mostrava la band capeggiata dal polistrumentista Alexandros destreggiarsi bene (seppur in modo alquanto derivativo, trattandosi del 2005) tra sonorità che pescavano a piene mani in primis dai lavori Viking Metal dei Bathory di Quorthon, con contraltare donato da sonorità molto più tetre ed accostabili all’universo assolutamente Black Metal di stampo talvolta depressivo, prese in prestito dal sempreverde Burzum specie sotto l’aspetto del comparto vocale.
Nonostante la derivatività del debutto, i Macabre Omen non hanno tardato a farsi apprezzare tra gli estimatori delle sonorità sopra citate, grazie ad una buona ispirazione ed anche in parte a quel flavour tipicamente ellenico che fece la fortuna di gruppi come Rotting Christ, Necromantia e Varathron nella prima metà dei ’90.
Quella che probabilmente verrà ricordata da oggi in avanti come la consacrazione qualitativa del duo -in origine- proveniente da Kremasti, prende il nome di “Gods Of War – At War” ed è partorita dalle ottime intuizioni della Ván Records, etichetta che negli ultimi anni sta donando ai musicali estimatori sempre più gioielli da custodire gelosamente nelle rispettive collezioni (Árstíðir Lífsins ed Urfaust i due nomi che recentemente hanno probabilmente più spiccato).

La band

Inoltre, il disco presenta una band sinceramente più pretenziosa e consapevole dei propri mezzi e (grandi) capacità di scrittura, fortemente decisa a donare all’ascoltatore qualcosa di genuinamente personale e dal sapore sempre più folkloristico che ricordi -in parte o del tutto- l’antico territorio dal quale provengono, tuttavia in un contesto musicale ancora profondamente radicato nei solchi della tradizione estrema del Nord Europa.
Può sembrare infatti una contraddizione in termini, ma “Gods Of War – At War” (e la musica dei Macabre Omen in definitiva) gode il più delle volte di un dualismo veramente azzeccato: esso infatti sfrutta ciò che alla mente è noto come tradizionalmente nordico (e in questo caso svedese, visti e considerati i forti richiami allo stile e strutture dei Bathory, sicuramente fonte d’ispirazione principale dei Nostri) per creare qualcosa che, se non nuovo, suona decisamente fresco e (questa volta) personale, nonché caratteristico e fondamentalmente ellenico.
Il tutto a dimostrazione che il flavour epico coniato sul finire dei ’70 ed inizio ’90 da artisti come Cirith Ungol, Manowar e Manilla Road (per nominarne tre) non presenta bandiera né nazionalità e può in definitiva provenire da qualunque parte del globo, se espresso con trasporto e convinzione, nonché con la giusta dose di rielaborazione per renderlo più interessante e contestualizzabile: sono infatti frequenti, nel disco, i richiami alla musica tradizionale greca, oltre all’utilizzo di atipici strumenti tradizionali.

Ad accompagnare alla batteria Alexandros, troviamo questa volta l’abilissimo Tom Vallely che dipana strutture sempre varie e con picchi notevoli donati dall’eclettismo del drumming.
Il primo fattore che colpisce, alla luce del debutto della band, è la cospicua durata del platter (rapportato alla mezz’ora abbondante del precedente album) che riprende ciò che è stato detto dieci anni fa dal (ai tempi) trio, arricchito da una vèrve di personalità senza precedenti nella discografia del combo.
Sono chiaramente sempre frequenti le lunghe cavalcate fondamentalmente Viking Metal (non gridi allo scandalo chi, nel 2015, reputa ancora tale genere un’accezione unicamente lirica per definire un comparto musicale scialbo e mediocremente standardizzato dietro a canoni in realtà inesistenti, dato che i Macabre Omen ovviamente -e fortunatamente- non “parlano di vichinghi”) e le ritmate parti Black Metal o il gusto melodico, ma a partire dall’utilizzo più vasto e convincente della voce di Alexandros, finendo con strutture meglio realizzate e pensate che convincono finalmente nella loro interezza, l’ascoltatore ha tra le sue mani (o meglio, nei suoi padiglioni auricolari) un lavoro senz’altro più particolare, vario e profondo del (comunque buon) debutto di dieci anni or sono.

Un riffing sempre ispirato e coinvolgente, un comparto lirico interessante e d’eccezione, i pregevolissimi dettagli folkloristici ed un innato orgoglio verso le maestose radici culturali del mastermind, sempre respirabile ed a tratti tangibile nel disco, -come si suol dire- chiudono il cerchio attorno ad un lavoro che consacra la band alla maturazione e, allo stesso, un posto sicuro tra le migliori uscite di questo genere nel 2015.
La produzione è infine ottimamente adeguata, graffiante e sporca quando serve ma mai caotica o non curata: ogni più piccolo dettaglio è facilmente udibile a diversi ascolti ultimati, è invero il sound dei Macabre Omen ad essere inizialmente ostico ai più (anche in questo si può tracciare un forte paragone con lo svedese genio) ma perfettamente decifrabile ed assimilabile con un po’ di attenzione.
Prendendo atto della qualità elevatissima del prodotto, della sua personalità e freschezza, non resta che augurarsi che la band non impieghi altri dieci anni per darne un seguito (anche se, visti i risultati, sarebbe assolutamente perdonabile), e che la tedesca Ván Records in futuro sappia dare più promozione a dischi che -nella società in cui viviamo- inevitabilmente finiscono con l’essere immeritatamente trascurati dai più, a favore invece di prodotti ben mediocri.
A voi, buon ascolto ma soprattutto buon viaggio; e preparatevi a salpare, che gli Dei vi assistano durante la rotta.

Matteo “Theo” Damiani

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