Der Weg Einer Freiheit – “Finisterre” (2017)

Artist: Der Weg Einer Freiheit
Title: Finisterre
Label: Season Of Mist Records
Year: 2017
Genre: Black Metal
Country: Germania

Tracklist:
1. “Aufbruch”

2. “Ein Letzter Tanz”
3. “Skepsis (Part I)”
4. “Skepsis (Part II)”
5. “Finisterre”

Chi ci segue da almeno un paio d’anni ricorderà le lodi espresse per la drammaticità dell’ottimo “Stellar” dei Der Weg Einer Freiheit, trattato nel 2015 dopo essere uscito per Season Of Mist Records.
Il terzo album era il primo passaggio del quartetto tedesco sotto la sempre-più-major label d’oltralpe e il 2017 li vede arrivare al traguardo del quarto full-length con “Finisterre”, il secondo licenziato dalla casa madre francese.

Il logo della band

Essendo già stato nominato disco del mese in agosto, introduzioni e presentazioni sembrano non essere più d’obbligo o
di particolare interesse, salvo citare un cambiamento in particolare: dall’ultimo incontro di due anni fa la band si è parzialmente rinnovata, trovando in Nico Ziska il nuovo componente in carico alle quattro corde dopo la dipartita dell’ex-bassista Giuliano Barbieri.
La piccola metamorfosi non sembra essersi fatta particolarmente sentire in fatto di songwriting dal momento che la quasi totalità delle idee continua a provenire ed essere malleata dal leader Nikita Kamprad, abile nel condurre gli altri membri verso un risultato in apparenza stilisticamente non rivoluzionario rispetto alle coordinate del precedente “Stellar”. Illusione quanto mai ingannevole e che non potrebbe in realtà sussistere più beffarda.
“Finisterre” si dimostra fin dalle numerose anteprime più cattivo e duro di qualunque altra opera della band, forse anche più immediato, riprendendo quasi tutti i discorsi interrotti nel precedente capitolo (“Verbund” su tutti, in questo caso) e ampliandoli cercando di andare oltre sotto ogni aspetto fino ad ora già parte del mosaico costruttivo del sound dei Der Weg Einer Freiheit, iniettando nuovi particolari e colorando gli esistenti di rosso sangue.

La band

La seconda parte della pièce “Skepsis” (che deve il suo titolo alla mai abbastanza analizzata condizione esistenziale dello scetticismo) riprende proprio lì, sbattendoci sul muso un violentissimo pugno pieno di rabbia e vendicatività, non privo delle grandi intuizioni melodiche che permeano il lavoro dei Nostri da “Unstille”, in modo via via sempre più rifinito ed antiteticamente sintetico. I lead riverberati irrompono come filtrati dal rosone di una cattedrale gotica a stemperare l’aggressività -primo perno della composizione- portando sul tavolo tutta la dose romanticamente introversa del decadentismo tedesco.
La malinconia, la tristezza e la disperazione sono parti equi-portanti del secondo perno compositivo di “Finisterre”; se il suo predecessore era stato elogiato per un grigio torpore apatico disteso a coltre sul fluire delle tracce, il nuovo lavoro rifugge velleità atmosferiche forgiandosi perlopiù in sanguinolenta viralità, come una malattia che si innesta e morde con tutte le sue forze solo una volta focalizzato l’alveo da cui inoculare con ignobile capillarità il suo malessere.
Ci sorprendono ad esempio con l’immediatezza e l’esizialità della conclusiva title-track, in oltre dieci minuti di splendore compositivo e gorghi color cremisi, dove la forma canzone si dispiega e prende mutevoli forme pur rimanendo di una coerenza e di un’accattivante realtà -e tiro- fuori dal comune. La peripeteia di viole e violini sommessi, mesti, funerei, accompagna lacrime amare scivolare sul suo finire per trasmettere tutto il dolore di cui l’intero “Finisterre” si fa assoluto portatore sano.
In ogni sua parte la scrittura tradisce un malcelato gusto ed estro classico/neo-classico, così la prima sezione di “Skepsis” si rintana in partiture totalmente strumentali in vista della citata bordata successiva, trovando in percussioni aggiuntive e raffinatissimi accorgimenti di sfarzoso arrangiamento il suo incedere (solo) concettualmente sinfonico: senza l’ausilio di strumenti classici, tastiere, campionamenti o sintetizzatori si ricrea una magniloquenza ben più tipica di movimenti orchestrali che di un brano Metal.
La cura del minimo dettaglio è senz’altro una delle carte vincenti del sound fresco, moderno e valorosamente tecnico dei Der Weg Einer Freiheit. In un diretto confronto con la stupefacente produzione di “Stellar”, troviamo possibilmente qualcosa di ancor più superlativo in un gioco di analogico e digitale squisito, valorizzante ogni frequenza e risultando sia caldamente organico che dinamico in ogni sua frazione.
La mestizia si fa ora vivace, la delusione lascia spazio ad un’inedita zampata terminale così come nell’umiliante richiesta di un ultimo ballo. L’evolutivo approccio di “Aufbruch” sfuma nel secondo brano “Ein Letzer Tanz” che ci mostra un accorgimento di diretta discendenza shining-esque portato al suo parossismo estetico, nel momento in cui le progressioni crescendo-core, in questo ambito solitamente di derivazione tipicamente Post-Rock, finiscono invece per infondersi in atipiche calde ritmiche flamenco, con le sue terzine suonate in chiave totalmente Black Metal, chiudendoci in stordimento nella travolgente rincorsa tra calma e distruzione in poliritmie di architettura poetica sturm und drang.

“Finisterre” è dunque un torrente di emozioni scarlatte, un vorticoso percorso che ininterrotto riempie gli occhi di sangue veicolando dramma e miseria, ma anche nero esistenzialismo non privo di un pizzico di pulsione ad un’ultima sprezzante rivalsa, sotto forma di aggressività imponente e teoreticamente continua.
Un passo ulteriore, richiesto e quindi ottenuto, per i Der Weg Einer Freiheit che ormai hanno superato ampiamente lo step della banale consacrazione, attuali come non lo erano mai stati.
Come a voler essere incarnazione del loro monicker ci viene dimostrato che solo la disillusione è vera libertà. Solo quando hai perso tutto puoi davvero dirti libero. Come un celebre apologeta della sofferenza e dell’accettazione qualche secolo prima di loro, chiosano i tedeschi che nulla a questo mondo è ripartito equamente, fatta eccezione per il dolore.

Matteo “Theo” Damiani

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