Settembre 2018 – Vreid

 

Qual è il miglior disco di settembre? Pur tra diversi nomi in ascesa, come da titolo e copertina, la prima posizione nel complesso l’hanno meritatamente conquistata quei campionissimi dei Vreid, che non mollano neanche di un passo la perentoria e vittoriosa marcia e tengono a ribadirlo con il successo annunciato del loro nuovo “Lifehunger” (fuori da due settimane via Season Of Mist Records), ma è innegabile che colui che lo segue immediatamente nell’articolo abbia dato ai norvegesi del grosso filo da torcere ad andarci con un eufemismo. In particolare, il trionfo di oscurità di certi formidabili polacchi che hanno chiuso quasi con un ex-aequo; se poi vi diciamo che il loro album è uscito via Under The Sign Of Garazel Productions non potete più avere dubbi su chi siano. E badate bene che, con ciò, davvero nulla andrebbe in realtà tolto ad un’altra uscita: una sorpresa proveniente direttamente dall’Inghilterra dei paradossi sociali quale è quella dell’Età Vittoriana, licenziata via Prophecy Productions. Anche il terzo runner-up che troverete qui presentato con una nomina è opera della tedesca Prophecy Productions ma, al differenza di chi lo precede, è stato creato da una band connazionale all’etichetta… Con qualche parentela islandese…
Settembre è stato dunque totalmente soddisfacente e vogliamo iniziare a parlarvene così:

 

 

“Mostruosa nuova prova per i veterani Vreid che, con sprezzatura e classe, confezionano un album il cui materiale collima l’etica compositiva di un’intera carriera. Lungi dall’essere solo un best-of, “Lifehunger” offre invece ad ogni ascolto qualche nuovo spunto (in ogni frangente ottimamente sviluppato) ad aggiungersi su ogni aspetto già sperimentato in quasi quindici anni dal gruppo; uno spaccato di maestria mutevole (per sensazioni e stili) a condensarsi con maturità conclamata e a cristallizzarsi sull’ormai enorme personalità raggiunta: distinguibile dalla primissima nota, che tuttavia non conosce banalità o anche solo prevedibilità e che resta, soprattutto, sempre in grado di reinventarsi con portamento. L’enorme dinamicità di “Lifehunger” fa sì che letteralmente ogni brano abbia da dire anche quando preso singolarmente, andando a creare inoltre -se disposto nell’ottimo ordine congegnato- un flusso ininterrotto a cui è impossibile resistere per via dell’enorme varietà ammassata in quaranta minuti di canzoni dalla scrittura sopraffina.”

(Ascolta tre brani estratti in anteprima dal disco in altrettante colonne ad essi dedicati, leggendo di più al riguardo, qui.)

Se il precedente “Sólverv” ci avvolgeva con sapienza nelle sue spesse trame rifuggendo in parte lo spietato e irresistibile riffing a discapito di un sound, sì più che mai estremo, ma maggiormente dilatato e imbevuto di novantiane memorie, “Lifehunger” pone ai lati gli elementi più nostalgicamente sogndaliani e li erige ad argini di un torrente in piena i cui flutti si rincorrono in un dinamismo tanto diretto e melodico quanto magistralmente composto. Questi elementi, legati ad una produzione impeccabile e tutto fuorché nostalgica, danno origine ad uno dei picchi più alti della carriera della band: un disco magnetico e senza cali, in cui anche il pezzo più azzardato e inaspettato riesce ad integrarsi nella struttura dell’opera con naturale spontaneità.”

“Lifehunger” dimostra, casomai ve ne fosse bisogno, la mancanza di regole e dinamiche stereotipate nella musica dei Vreid. La vastità di suoni e atmosfere contenute in questi quaranta minuti scarsi potrebbe sicuramente scoraggiare qualcuno durante i primissimi ascolti, ma una volta trovato il solido bandolo della matassa ogni singolo brano assume una sua identità precisa e sempre diversa da quella degli altri. Si va da riff melodici e totalmente avvincenti a brani più intimisti, dal sapore quasi Darkwave, passando ovviamente per le frustate Black che il buon Hváll già scriveva ai gloriosi tempi di “1184” e “Likferd”. Senza rivelare troppo dei mille particolari disseminati tra gli otto pezzi proposti, il consiglio è di non esitare a dedicare un po’ del vostro tempo a “Lifehunger”: ideale colonna sonora per una stagione malinconica ma dura come l’autunno.”

“I norvegesi Vreid sono ormai ad ogni uscita una scelta più che sicura nel panorama della musica estrema. Il nuovo album, “Lifehunger”, è in linea con il loro usuale stile composto di grandi melodie e ritmi frenetici e trascinanti, intrecciati a momenti acustici che, nell’insieme, equilibrano sinergicamente il lavoro nella sua complessità.”

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“Sinister, Or Treading The Darker Paths”, nuova e quarta opera maggiore dei polacchi Cultes Des Ghoules. Ormai in ascesa libera come autentico capobranco Black Metal in terra natale, erano chiamati al per nulla facile compito di bissare o superare il successo compositivo e realizzativo del mastodonte intitolato “Coven, Or Evil Ways Instead Of Love” ed uscito sul finire di due anni fa. Ce l’hanno fatta? La risposta è sì, scandita senza ombra di dubbio, ma come? Ecco qui ragioni ed ingredienti della nuova pozione magica.

“Con “Sinister…” i Cultes Des Ghoules continuano la loro brillante scalata al chiaro di luna, oltre confine, verso (ed oltre) gli status delle band più interessanti del Black Metal contemporaneo, offrendo per l’occasione all’ascoltatore attento un percorso rudemente vestale, ma eterogeneo e camaleontico, che fa dei suoi perni più immutabili la base old-school da cui sviluppare personalità estremamente sui generis e i guizzi sperimentali dalle intuizioni sorprendenti, condite (e in realtà condotte) dalla grande teatralità nella recitazione di vocals dall’ormai distintivo sapore macabro. Cambiando poi il resto degli addendi stregati il risultato rimane una vittoria di oscure proporzioni, un album di fuoco e sangue che richiedede tempo ed atmosfere ma che ripaga con suggestioni difficili -se non impossibili- da trovare altrove.”

(Ascolta “Children Of The Moon” e “Where The Rainbow Ends”, leggendo di più nelle colonne ad essi dedicate, qui e qui.)

La raffinatezza demoniaca dei polacchi Cultes Des Ghoules si ripresenta in una nuova veste rispetto alla teatralità (principalmente lirica) che caratterizzava il precedente “Coven, Or Evil Ways Instead Of Love”. Come da consuetudine, brano dopo brano, si viene catapultati in scenari ritualistici di rara oscurità, caratteristica ancora più sorprendente vista la sgrezzatura del sound rispetto alle prime uscite. Per coloro che sono già amanti di quest’orrido complesso musicale, “Sinister, Or Treading The Darker Paths” sarà un successo assicurato; agli altri, invece, consiglio vivamente di immergersi in una delle realtà più uniche della musica estrema attuale.”

I Cultes Des Ghoules balzano giù dalle scricchiolanti assi del teatro in cui ha avuto luogo la messa in scena di “Coven, Or Evil Ways Instead Of Love”, immergendosi nuovamente fino alla cintola in quel sound putrido e maleodorante che li aveva contraddistinti in precedenza; lunghe e ipnotiche tracce si snodano con mefitiche sfumature, dando risalto ad un guitar working d’eccezione capace di far evolvere con apparente semplicità pezzi strutturati e cangianti. “Sinister, Or Treading The Darker Paths” dimostra come la personalità del sound Cultes Des Ghoules non sia diretta conseguenza delle sfaccettate ed esuberanti stramberie che come rari ingredienti vengono calati nel ribollente calderone, né mero frutto della suggestione creata da concept sinistri e intriganti, ma che possa prendere forma ed esprimersi al meglio anche intraprendendo una direzione maggiormente lineare.”

Tornano i Cultes Des Ghoules con il loro quarto full-length, “Sinister, or Treading the Darker Paths”, che dimostra la sorprende facilità del gruppo polacco di trasporre in musica la loro personalissima visione orrorifica di Black Metal, quasi teatrale, sempre molto mistica, in cui i tempi serrati sono spesso e volentieri sacrificati in favore di mid-tempo che accentuano l’atmosfera meravigliosamente malefica; complici anche le tonalità vocali di Mark Of The Devil, capace di passare da clean vocals dall’impostazione oscuramente enfatica a scream deliranti e stregoneschi, esemplari nel trasportare l’ascoltatore in una discesa infernale e surreale: un caleidoscopico e pittoresco viaggio di pura follia polacca.”

“Mentre certi loro illustri e più famosi connazionali si perdono tra cibo per cani e altre genialate, i Cultes Des Ghoules ci ricordano ancora una volta cosa voglia dire fare musica realmente demoniaca. Il sabba portato avanti per quasi un’ora non è mai pacchiano ma brilla anzi per la spiccata personalità dimostrata dalla band, capace di passare dal Black Metal più sanguinario al Doom, terreno su cui i misteriosi polacchi si muovono con rara maestria. “Sinister, Or Treading The Darkest Path” è uno degli album più malati e atmosferici di quest’anno, un ottimo antidoto alla felicità.”

 

Il sorprendente nuovo album degli inglesi A Forest Of Stars, giunti al traguardo del quinto full-length consegnando il loro indiscutibile apice artistico dopo anni di hit or miss e fastidioso spreco di grande potenziale già dotato di manifesta inventiva. “Grave Mounds And Grave Mistakes” (Prophecy Productions, 28 dello scorso mese) mette in mostra il talento della band e lo fa confluire perfettamente coeso in un’opera rimarchevole ed interessantissima di cui, in particolare, due di noi hanno voluto parlarvi.

“Inaspettato centro pieno da parte degli A Forest Of Stars, finalmente creatori di un riuscitissimo viaggio in oltre un’ora di emozioni assolute dalle mille sfacettature. “Grave Mounds And Grave Mistakes” offre intelligente Avantgarde Black Metal arricchito da psichedelia sperimentale, arroccato sulle suggestioni tipiche della musica Folk, impreziosito dallo stile Progressive di una Albione d’altri tempi e bagnato da personali tocchi elettronici, per creare qualcosa di unico e sorprendente, pieno di fascino dal primo secondo d’introduzione all’ultimo. Chi già li apprezzava non faticherà a trovare il miglior disco di sempre sfornato dall’eclettica band, ma l’ascolto è totalmente consigliato a chiunque cerchi musica coraggiosa, di grande intelligenza e spessore. In definitiva, anche a chi non era mai riuscito ad apprezzarli.”

(Ascolta “Decomposing Deity Dance Hall” nella colonna ad essa dedicata, leggendo di più al riguardo, qui.)

Gli A Forest Of Stars sono sempre stati un progetto sulla carta interessantissimo ma che ha troppo spesso poi fallito dal punto di vista realizzativo. Con “Grave Mounds And Grave Mistakes” la band inglese trova finalmente le giuste misure per trasmettere al meglio il fascino nobiliare decadente che caratterizza ogni aspetto della loro musica. Il disco è ottimamente bilanciato tra vari up-tempos (come in “Children Of The Night Soil”), momenti di pura classe (“Premature Invocation”) e attimi più lenti e riflessivi (ad esempio “Taken By The Sea”); inoltre, l’intera opera si sviluppa con estrema naturalezza brano dopo brano regalando all’ascoltatore un vero e proprio viaggio audiovisivo.”

 

Infine troviamo anche una nomina per le seriose riflessioni filosofiche e suggestioni neo-pagane dei tedeschi Helrunar, anch’essi al quinto album e anch’essi fuori per Prophecy dal 28 di settembre con “Vanitas Vanitatvm”. A detta del nostro Feanor (per cui è personale ed effettivo disco del mese), devono essersi ricordato non solo che tutto è vanità, ma anche che la terra attende pure quella dato che il lavoro li ha fortunatamente riportati sul giusto e più nichilista binario dopo la ben poco incisiva svolta di “Niederkunfft”.

Dopo le deludenti velleità Doom Metal del precedente album, i tedeschi Helrunar volgono lo sguardo al loro passato con questo nuovo “Vanitas Vanitatvm”, quinto full-length della loro discografia che potremmo considerare come la perfetta continuazione del loro terzo full-length, “Sól”. Il sound 2018 della band fa infatti tornare in auge il loro classico Pagan/Black Metal, composto dai classici fraseggi rocciosi tipici del Pagan, qui in classico stile teutonico, in cui i riff di matrice maggiormente Black Metal disegnano invece splendide atmosfere, mistiche e oscure, che godono della perfetta alternanaza tra parti forsennate e parti molto lente e surreali. La voce del cantante Marcel Dreckmann si districa fra screaming secco e growl profondo, tuttavia non mancano le sue note parti vocali recitate con la sua profonda voce baritonale a rendere il tutto molto più teatrale e suggestivo. Da menzionare anche le parti acustiche, in particolare verso la fine del disco, le cui parti di viola sono state suonate dall’islandese Árni Bergur Zoëga, compagno di band di Marcel negli Árstíðir Lífsins: a testimonianza del gemellaggio sempre più forte fra queste due band.”

 

E con questi quattro distinti signori in musica, anche stavolta, il banchetto ne ha avuto un po’ per tutti i gusti: dall’eleganza degli A Forest Of Stars e dal cesello dei Vreid, a quella più grezza e oscura dei Cultes Des Ghoules che danno la mano in tal senso -a chiudere il cerchio- agli Helrunar, se ancora non avete avuto occasione di scoprirveli tutti fatelo pure con calma. Avete tempo di gustarli ancora caldi e sanguinanti in tavola, mentre attendete l’arrivo del prossimo appuntamento simile – come sempre fissato per quando ottobre sarà finito; a quel punto la conclusione dell’anno si starà avvicinando a grandi passi, ma ci sono e saranno ancora diverse uscite di vario interesse in arrivo. E, poco ma sicuro, non mancheranno alcune sorprese. Ricordate che trovate e troverete sempre tutto facendovi strada al vostro amato calendario… Ma ormai lo sapete, giusto?

 

Matteo “Theo” Damiani

 

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