Núll – “Entity” (2020)

Artist: Núll
Title: Entity
Label: Ván Records
Year: 2020
Genre: Depressive Black/Doom Metal
Country: Islanda

Tracklist:
1. “None”
2. “Reduced Beyond The Point Of Renewal”
3. “Grasping The Outer Hull Of The Tangible”
4. “(Em)Pathetic”
5. “Conjoin The Vacuous”
6. “An Idiosyncratic Mirage”

La fine del mondo, in Islanda, ha l’aria della pace. Il grigiore muto di una litografia, il punto di raccordo solcato tra dolore ed accettazione terapeutica in un’unica strada infinita e senza deviazioni a strapiombo sul nero, in cui un insignificante cartello scolorito d’ossido e scrostato dal sale assume ciononostante l’importanza immediata di una rivelazione che possa mondare anima e corpo dall’orrida pesantezza degli eventi, svuotare il carico di angoscia, liberare infine dalla mancanza di un senso d’unicità e congiunzione da ricercare ad ogni costo come chiave o via ultima di una salvezza temporale che tarda ad arrivare, sospesa tra ricerca e fuga.

Il logo della band

Ed “Entity” è quindi un processo che ferisce, destabilizza ed al contempo cauterizza, prima ancora di essere un disco; una collezione di passi di natura ermeneutica nei confronti delle proprie intimità per narratore ed ascoltatore alla pari, che procede pachidermico eppure niente affatto claustrofobico -quasi tranquillo, perfino- nel delicatissimo ed altrettanto storto equilibrio ricreato tra la pesantezza schiacciante dell’umore Doom Metal, del più estremo, genuinamente disperato e nero, innervata di irritazioni chitarristiche dal linguaggio invece più vicino al Black Metal che trapassano il cuore, forandolo senza rimedio, andando a trovare la perfetta commistione tra parti in un’energia che ha dello spirituale per quanto e come -stilisticamente- finisce con l’elevarsi in ampiezze atmosferiche di cristallina tragedia strisciante, di vuoto pneumatico emotivo sacrificato in funzione di una purificazione, di un rinnovo decisamente più accettato che non ricercato. Eppure l’abbraccio che ne consegue è nondimeno caldo, seducente e tranquillizzante nella sua asetticità grigia e senza giudizio che costringe ad affacciarsi con sincerità sul burrone, stagliato a precipizio sullo specchio d’acqua più inquietante di tutti.

La band

I Núll sono in primo luogo questo: maestosi e dimessi, fatalmente disumani e fallati umani, carontici interpreti ed accompagnatori in un viaggio a bagno nell’oscurità più densa, mai alla ricerca bensì alla sola scoperta inerme, all’annessione totale come un buco nero che risucchia ogni esperienza e ricordo che vi orbita in prossimità. Una trappola per anime che impiega ogni strumento alla sua portata con smaccata precisione ed allibente profondità d’intenti, nonché tremenda, dimessa serietà nel veicolare uno struggimento di rara fattezza, affinché ogni lead insinuante e poi urticante di chitarra possa ricordare e dire, urlare a cubitali lettere che si vive fondamentalmente come si sogna e come si muore: soli.
Il lutto che trasuda coerentemente dalle parti vocali è magistrale per presa emotiva, sia nella monotonia bucata di dolore delle comunicativissime sezioni pulite e degli accenni appena corali (dalla clamorosa “None” alla straziante “Conjoin The Vacuous”), che nell’inumana prova di grida storpie, maledette, perforanti come proiettili impossibilitati a mancare il bersaglio e che gelano il sangue nelle vene perché convolate alla gravosità estrema di riff scavati e dal tono grassissimo in una tale, dilatata e sinergica cornice fatta di lentezza, di tappeti di arpeggi distorti e scarificanti come punte di frecce (“Reduced Beyond The Point Of Renewal”, su tutte) dove gli strappi di puro sconforto finiscono per riaffiorare in esplosioni di blast-beat con soluzione d’unicità nella sorprendente opener (e nell’accelerazione di “Grasping The Outer Hull Of The Tangible”, la cui sovrastruttura chitarristica atipica per realizzazione melodica sbilenca tradisce a mero volo di rondine l’appartenenza del nucleo compositivo a Misþyrming e Naðra – non solo fugace dal momento che a di là di una ovvia sensibilità comune i paralleli stilistici iniziano e finiscono qui, ma soprattutto perché fare una gara di pedigree per un simile disco sarebbe semplicemente un insulto).
Ne consegue che il linguaggio più immediatamente comprensibile all’estetica di follia e tormento, quella risata fragorosa ed irrefrenabile che si contrappone inquietantemente sfumata ad un sorriso deformato e sfigurato, sia ridotto all’osso. Sono difatti le espressioni più volatili e ritmicamente diradate in bpm a rendere al meglio i ganci estatici di melodie semplici, segmentate ed efficaci a cui il invece lavoro dei Núll si appende con un terribile gemito, che al netto di una pesantezza di suoni quasi inverosimile -squisiti canzonieri- non insistono comunque mai sterilmente sull’opprimenza tipica quanto psicotica di musica che vuole trasmettere un parco emotivo tanto cupo. Al contrario, le sensazioni eteree ricorrono in una perfetta simbiosi (l’inizio e lo sviluppo alla pari della conclusiva fagogitazione in “An Idiosyncratic Mirage” siano il più eloquente degli esempi in tal senso), religiosamente innalzate laddove parole e voce non possono più arrivare, toccando corde d’intimissima miseria e condizione umana universale dapprima con le laceranti chitarre incave, capillari e dissonanti, che costruiscono poi strazianti, storpiate ascensioni e ponti verso i climax di assoli disadorni, eppure rilucenti di grandeur proprio nel loro essere scarni e quasi zoppicanti, la cui semplicità è commovente quanto cruciale nell’aumentare vertiginosamente la bellezza opaca di ogni brano (facendo per impiego il paio con gli oltremodo selezionati tocchi di sintetizzatori), perché ogni sentitissima nota può versare lacrime per quanto è caricata di sensazione anche da sola -non mai una di troppo, né una di meno del dovuto- tradendo nel processo non solo una grandissima accoppiata di gusto e classe all’opera, ma ben più notevolmente la squisita abilità di smuovere l’emozioni dell’ascoltatore a proprio assoluto piacimento.

“Entity” con ciò rinnega ed allontana da sé ogni canonicità Doom, Depressive e perfino Black Metal desaturandone le atmosfere, impiegando solo e soltanto il sopraffino meglio di ognuno dei tre lemmi a proprio piacimento e per la propria irripetibile esigenza espressiva, dando vita ad una manifestazione d’imperdibile splendore immediatissimo per chi andrà ad amarlo, quanto improbabilmente afferrabile anche con svariati ascolti da chi tarderà a ritrovarsi tra le sue claudicanti note. Perché è naturale provare paura di fronte a qualcosa di simile, e non da tutti è accogliere ciò che in maniera così candida riflette la futilità che dimora nascosta e sibillina nel doppiofondo dell’animo umano: l’entità indivisibile Núll, monumento all’assenza come criterio di accettazione, un’apocalisse interiore dai contorni d’ossidiana quanto mai distinti ed inequivocabili – e parimenti distanti da qualunque altra manifestazione artistica dai perimetri stilistici superficialmente simili, regala picchi di empatico grigiore a cui è totalmente impossibile rendere adeguato merito in parole, nonché il raro dono della vacuità che permette di sciogliersi nell’abbraccio con il proprio nulla più totale che, qualora pienamente ammesso, diventa il più immenso e prezioso tutto.

Matteo “Theo” Damiani

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