Metsatöll – “Katk Kutsariks” (2019)

Artist: Metsatöll
Title: Katk Kutsariks
Label: Autoprodotto
Year: 2019
Genre: Folk Metal
Country: Estonia

Tracklist:
1. “Toona (Intro)”
2. “Katk Kutsariks”
3. “Ebavere”
4. “Kange Kui Raud”
5. “Ballad Punastest Paeltest”
6. “Talvehambad”
7. “Kurjajuur”
8. “Tõiv”
9. “Metsaviha 4”
10. “Metsaviha 5”
11. “Koduhiite Kaitsel”
12. “Lemmingu Unelaul”

“Karjajuht” li aveva visti virare su sonorità più pesanti e cupe, un esperimento di ribasso in accordature e toni che -per quanto riuscito e coraggioso nel suo cambio di registri- con la sua direzione di greve opprimenza era andato in parte a smorzare il tipico e più vivace contrasto di ombre e luci che i Metsatöll sanno da sempre creare con grande originalità, immergendo il loro solido e scintillante Metal di vario stampo nelle paludi di un folklore oscuro, velenoso, ringhioso e maligno che, in modo invero distintivo e singolare, tinge anche in superficie le composizioni che già ne sono impregnate nel più intimo spirito.

Il logo della band

Da quel momento sono trascorsi cinque anni e l’abbandono di (o da parte di) Spinefarm Records ha infine spinto i nostri a fare da sé, auto-producendosi: una scelta che, ammesso abbia influito, a giudicare dall’ascolto di “Katk Kutsariks” sembra aver giovato a dir poco enormemente alla riuscita del settimo full-length del gruppo di Tallin.
Non è tuttavia l’unica differenza o defezione rispetto al passato di una band dalla storia ventennale ma solida come acciaio: per la prima volta troviamo infatti un cambio di line-up che per divergenze professionali ha visto lo storico batterista e produttore Marko Atso lasciare le bacchette al giovane Tõnis Noevere, la cui ottima prova nelle dodici tracce (lo troviamo da subito anche ad armonizzare la sua ugola al servizio dei cori che contraddistinguono da vicino l’intero lavoro) dimostra già grande gusto ma soprattutto integrazione e affiatamento con il familiare nucleo compositivo a trittico LauriRaivoMarkus.

La band

Sono proprio i cori arcaici e mai così armonizzati di “Toona”, totalmente à cappella, ad introdurci nel vigoroso mondo tipicamente estone e rurale che i Metsatöll vogliono narrare e trasmettere con cuori traboccanti alla mano in “Katk Kutsariks”; una breve quanto intensa e verosimile anticipazione stilistica di come l’approccio vocale e corale nel nuovo album sia cruciale, e pertanto stato curato alla perfezione. Il risultato è già emozionante e non si tratta della calma prima della tempesta: l’intensità raggiunta dal candore d’intenti del quartetto sfuma nella completezza di tempi e modi dell’energica title-track. L’irresistibile, convulso incedere del riffing Thrash/Black è trascinato in schizzi ed esplosioni improvvise di veloci e repentini blast-beat, sormontati dalle liriche sparpagliate asimmetriche dal furioso vocione urlato del principale Markus Teeäär secondo la metrica estone, la quale, per la sua semplicità d’impatto, richiama primitivi sentori Hardcore. La scrittura ad incastro efficacemente fluida dei Nostri permette loro di giocare e prendere decisioni progressive senza preavviso, con conseguenze di tempi che si fanno disparati e riff piacevolmente intricati – intrecciati o meno che siano alla delicatezza del loro celebre zither (tra gli altri variopinti strumenti tradizionali) che acquerella il brillare spettrale delle paludi estoni, brulicanti sinistre di vita prima del silenzio di morte portato dalla peste (la prima delle infinite prove d’apprensione spirituale, una per brano, che l’indomito popolo estone ha dovuto -e deve- superare per ritrovare sé stesso).
La bravura e fratellanza in fatto di scrittura ormai accumulata permette ai Metsatöll di osare senza mai rinunciare alla solidità del loro approccio quadrato, roccioso ed epico (ci si riferisce al tratto stilistico), mantenendo altissimo l’interesse durante tutto il disco perché capaci di mutare con savoir-faire la fisicità e pienezza degli accordi Heavy (talvolta dal gusto quasi Hard Rock) alla volubilità di partiture circolarmente muscolari in minore che svelano il nerboruto ed esplosivo retaggio Pagan/Black di Teeäär; non nel solo caso della sorprendente e ricchissima “Ebavere”, semplicemente pregevole nelle sue imprevedibili sfumature armoniche, ma ancor di più nel finale rabbioso di “Talvehambad” e nell’intera “Metsaviha 5” (impossibile non apprezzare le diversità dei blast-beat di Noevere nelle sezioni più tirate ed estreme dell’album, sempre pronto a cambiare accenti e toni verso la parte interna dei piatti).
L’approccio quasi dissonante del ricco parco di fiati e strumenti di angoscia folkloristica della seconda voce Lauri Õunapuu getta invece selezionate ombre spiritate in contrasto con i momenti più esultanti dell’album (nelle maledizioni di “Kurjajuur”, così come in “Kange Kui Raud”), con ritagli acustici sempre ricchissimi di sentimento (una su tutte, nella nenia conclusiva); mentre le cavalcate più galoppanti in mid-tempo (“Tõiv”, “Koduhiite Kaitsel”) sono comandate dall’importanza del sempre interessantissimo lavoro di basso distorto e rumorosamente Epic Metal di Kuri Raivo (in alto anche nel mix, quasi a raggiungere la posizione di spicco che ricopriva in “Äio”), i cui apici di movimento si raggiungono nei lenti come la ballata -non per tradizione Rock ma per quella letteraria e lirica popolare- “Ballad Punastest Paeltest”.
L’altissima qualità di ogni canzone inclusa in “Katk Kutsariks” non impedisce agli estoni di superarsi negli oltre sei minuti di dirompente splendore delle due nuove parti del ciclo “Metsaviha” (in cui è la rabbia della foresta a parlare tramite il medium della musica dei Metsatöll), cominciato nel lontano “Terast Mis Hangund Me Hinge”: l’inizio è inquietante, rituale e febbrile, la forza della terra si fa primordiale e pulsante, i battiti sciamanici preparano il terreno allo sfogo di sdegno maestoso in blast, tremoli e cori che vanno a saturare il mix come una tempesta elementale di pathos e orgoglio per le proprie radici; si scatena la forza di un intero popolo, semplice ma onesto, a difesa della sua cultura e di un patrimonio incommutabile benedetto dalla furia del vento, dalla violenza del mare in tempesta, che si riversa nel solenne potere dei figli della foresta che vivono in comunione con essa.
Menzione d’onore va infine, immancabile, agli ospiti che coronano la varietà d’idee in “Katk Kutsariks”: da John Ryan Will (violinista dei Cruachan) e Marko Matvere (partecipi insieme del brano più Folk ma anche ambizioso e curato del disco) a Marta Laan (fiabesca voce femminile nel quinto pezzo), senza dimenticare l’importanza delle inconfondibili litografie delicatamente pigmentate a pastello dell’ormai quinto membro (visivo) del gruppo Jüri Arrak – uniche e caratteristiche quanto la musica del quartetto.

In conclusione, quel che tra le tante sorprese positive di “Katk Kutsariks” stupisce più di tutte è lo stile della band: il loro Folk Metal grezzo ma ricco di sfumature e influenze che sembra provenire da un altro mondo, così incontaminato e distante da tutti, così unico e inimitabile da essere piacevolmente familiare – un abbraccio caldo per i fan del gruppo ma soprattutto un’irresistibile summa di originalità e peculiarità per chi vi entra in contatto la prima volta. Musica che con rabbia, angoscia e oscurità ha la capacità quasi fisica di alternare gioia e dolore sopportato con eleganza in canzoni di riscatto, di coraggio, di strenua attesa ma anche di libertà, che descrivono la condizione di dualità di gente dall’animo nobile che ha conosciuto la povertà, non ha provato vergogna nella sua miseria e -a testa alta- ha dimostrato con immensa forza spirituale che un popolo vessato, con spirito indomito e volontà di ferro, unito sotto le profonde radici di un unico vecchio albero può rialzarsi e affrontare le intemperie del tempo che scorre – un popolo senza memoria, senza canto, è al contrario un popolo inesistente.
Saper trasmettere immagini così nitide e accorate della propria terra, della tempra, della levatura morale ed eroica della propria cultura e tradizione senza scadere nell’ovvio, nel pacchiano o nel prevedibile, è un dono di rarissima qualità e non è oggi una sorpresa che i Metsatöll ne siano dotati – ma in “Katk Kutsariks” lo dimostrano con una forza, una testardaggine, e puntando sulla loro unicità senza il minimo compromesso, in un modo che va oltre ogni previsione e che supera in ricchezza ogni altro loro capitolo discografico; pareggiando qualitativamente i picchi di “Ulg” e piazzandosi in altissimo (se non direttamente all’apice) del loro encomiabile corpus produttivo.
La lezione è cruciale: cantare a proprio modo. Sempre e comunque; il disco, semplicemente da avere.

Elagu võit!

Matteo “Theo” Damiani

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