Inquisition – “Bloodshed Across The Empyrean Altar Beyond The Celestial Zenith” (2016)

Artist: Inquisition
Title: Bloodshed Across The Empyrean Altar Beyond The Celestial Zenith
Label: Season Of Mist Records
Year: 2016
Genre: Black Metal
Country: U.S.A.

Tracklist:
1. “The Force Before Darkness (Intro)”

2. “From Chaos They Came”
3. “Wings Of Anu”
4. “Vortex From The Celestial Flying Throne Of Storms”
5. “A Black Aeon Shall Cleanse”

6. “The Flames Of Infinite Blackness Before Creation”
7. “Mystical Blood”
8. “Through The Divine Spirit Of Satan A Glorious Universe Is Known”
9. “Bloodshed Across The Empyrean Altar Beyond The Celestial Zenith”
10. “Power From The Center Of The Cosmic Black Spiral”
11. “A Magnificent Crypt Of Stars”
12. “The Invocation Of The Absolute, The All, The Satan (Outro)”
13. “Hymn To The Cosmic Zenith (Coda)”

A distanza di tre anni dal loro ultimo album “Obscure Verses For The Multiverse” (il primo sotto l’egida della francese Season Of Mist Records) gli originariamente colombiani Inquisition sembrano non necessitare più di troppe presentazioni, alla luce di un favore di critica e pubblico in continua crescita e dall’approvazione sempre più esponenziale.

Il logo della band

Il duo composto dal carismatico Dagon e dal batterista Incubus giunge a metà 2016 al traguardo considerevole del settimo full-length a partire dai piuttosto lenti esordi nel 1988-89, nonché, consolidato il rapporto con la label grazie ad una serie di ristampe coprenti l’intero catalogo discografico, al secondo nuovo album per la prestigiosa etichetta d’oltralpe.
“Bloodshed Across The Empyrean Altar Beyond The Celestial Zenith” suona tanto pretenzioso quanto impossibile da memorizzare, portando al malarico e parossistico eccesso (apparentemente ridicolo, per coloro non ancora addentrati nell’ideologia e filosofia del frontman) una già nota tendenza del duo in fatto di liriche e titoli (l’acclamato “Ominous Doctrines Of The Perpetual Mystical Macrocosm” nel 2011 non suonava poi tanto distante).
Orecchie inesperte o poco educate da sempre sentono nel materiale della band un continuo rifarsi agli aspetti più tradizionali del Black Metal (colpevoli, se così si vuol dire, gli esordi effettivamente più legati tanto agli aspetti Thrashy della first-wave, quanto alle tormente degli Immortal e alle commistioni Death di Beherit o Belial); ad ascolti più ragguardevoli ciò che emerge è invece l’incredibile personalità e modernità delle composizioni di Dagon e Incubus, merito di ricerche layeristiche ormai appurate da “Nefarious Dismal Orations” e consacrate nel suo successore, nonché di una composizione atipica incentrata sulle diverse mescolanze di linee melodiche e ritmiche idealmente su un solo manico di sei corde.

La band

Gli aspetti più particolari del sound degli Inquisition, che hanno garantito loro il passaggio da Cult-Band a membri del roster Season Of Mist, sono tutti ravvisabili e ben miscelati nel nuovo capitolo discografico. Le tre anteprime concesse dalla label al pubblico parlavano chiaro: se con “Wings Of Anu” abbiamo assistito ad uno strambo connubio tra staticità inespressiva e ottime melodie da ricontestualizzarsi (e rivalutarsi) prettamente all’interno del disco, sia “Power From The Center Of The Cosmic Black Spiral” che (soprattutto) “Vortex From The Celestial Flying Throne Of Storms” mostrano in via definitiva e senza possibilità di replica il duo cimentarsi non solo in ciò che gli è riuscito meglio negli ultimi dischi, ma aggiungere (come di consueto) quel paio di elementi nuovi per non scadere mai nella banalità.
Sia che spingano sull’acceleratore, come nell’irresistibile e più canonica opener “From Chaos The Came”, sia che rallentino (quasi ineditamente, a questi livelli, se si esclude il raro e riuscitissimo episodio di “Desolate Funeral Chat”) come nell’ispirata -e dalle melodie finanche spiccatamente catchy- “A Black Aeon Shall Cleanse”, gli americani portano all’ascoltatore un curato lotto di scandite e blasfeme litanie convincenti ed irrefrenabili nella loro interezza.
Le sperimentazioni di riffing dalla subitanea fruizione in “The Flames Of Infinite Blackness Before Creation” (stilisticamente riprese ed ancor più affinate nella strumentale e sorprendente title-track) candidano il pezzo tra i momenti migliori del disco, ma in sostanza gran parte dei brani risultano oggi scritti con un occhio di riguardo per melodie più azzeccate e trascinanti rispetto al passato. Allo stesso modo, la sezione ritmica presenta più dinamismo e interconnessione con il resto della composizione, mediante soluzioni più varie dei suoi stessi standard: non deve stupire, per questo motivo, che l’album sia il più lungo dell’intera discografia ma -allo stesso tempo- il loro più scorrevole ed immediato di sempre.

Gli Inquisition si confermano così una band dal saggio autocontrollo e dalla grande consapevolezza stilistica, in costante ma mai frettoloso mutamento, nel cui “Bloodshed Across The Empyrean Altar Beyond The Celestial Zenith” possiamo oggi trovare una rinnovata, maturata e finanche migliorata, capacità di scrivere ottimi pezzi che appaghino durevolmente, all’unisono, sia desiderio di tradizione che di personale ed esclusiva unicità, riuscendo nel delicatissimo compito di librarsi perfettamente sulla gracile gomena che lega novità e consolidamento.

Matteo “Theo” Damiani

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