Impavida – “Antipode” (2019)

Artist: Impavida
Title: Antipode
Label: Ván Records
Year: 2019
Genre: Atmospheric Black Metal
Country: Germania

Tracklist:
1. “Demons’ Eerie Flutes Accompany With The Decay Of Corpses Defiled”
2. “Corpse Devourer”
3. “The First Flame Initiates The Cleansing Of Putrid Terrestrial Spirits”
4. “Towards The Pyre”

Undici anni per confezionare appena quaranta minuti di musica possono sembrare un’esagerazione se privi di contesto. La verità è che ogni progetto o manifestazione artistica che si rispetti non può (e non dovrebbe) fare altro che rispettare la sua sola ragione d’essere più intima; non ci si riferisce alla, quasi scontata, perniciosità della forzatura in generale in un ambito così delicato e fragile quale l’atto creativo, bensì allo stesso ragionamento che porta l’artista autentico a questionare volta per volta, e in profondità, i motivi e la motivazione stessa alla base della sua spinta e del suo moto inventivo e produttivo.
Se poi questa urgenza contribuisce o è motore unico alla nascita di un progetto dalle coordinate così interiori, recondite, personali e quasi spirituali (nell’accezione intrinseca e non religiosa del termine), come risulta essere il Black Metal dal taglio astratto, largamente atmosferico e bagnato dalle cosiddette tinte Depressive tale è quello degli Impavida, lo si può giurare, attendere l’eventuale ritorno della piaga che affligge internamente così tanto da essere obbligati ad esternare in qualche modo, o aspettare senza fretta l’altrettanto (se non ancor più probabile, nonché, per versi smaccatamente umani, auspicabile) estinzione per via naturale dello stesso moto artistico, in un simile contesto, sono le uniche due scelte coerenti con la natura della band. Vi è, tuttavia, anche una terza e ben più rara occasione a verificarsi talvolta: che un certo stesso spettro di emozioni vada, dopo anni e percorsi di crescita, a rifrangersi in qualcosa di differente; stesso veicolo, medesime le sensazioni trasmesse – diverse le motivazioni e pertanto il risultato. È quello che abbiamo modo di sperimentare nel caso in analisi degli Impavida.

Il logo della band

Il duo tedesco aveva rilasciato il suo nerissimo debutto “Eerie Sceneries” nel 2008, complice del crimine la stessa Ván Records che non si è fatta evidentemente chiedere due volte, trascorsi undici anni da quel momento, di rilasciare il suo seguito in discontinuità intitolato “Antipode”. In oltre due lustri il progetto Impavida ha tuttavia cambiato forma in più di un modo: Dennis Blomberg (God Killing Himself) è sempre al timone della nave, musicalmente anche più che in precedenza, ma ha ceduto fruttuosamente il microfono al nuovo ingresso He, Who Walketh The Void che ha preso a sua volta il posto di Herbst (di successiva fama Lantlôs) come compare del nostro, che oggi suona al posto dell’ex-compare anche la batteria.
La mutazione è però triplice; oltre al lieve riassetto di line-up (fondamentale più che altro al netto della resa vocale) sono la dispensa lirica e parte del framework compositivo ad essere cambiati, in una direzione a tratti più concreta e tagliente.

La band

Come il titolo stesso suggerisce (ambivalente l’interpretazione, ma univoco il senso), ci si trova di fronte ad un album che fa della tensione tra due poli il perno su cui costruire – musicalmente e liricamente. Sebbene, tuttavia, la struttura del disco sia facilmente rintracciabile con una sola occhiata alla tracklist (due grandi blocchi destinati, rispettivamente ognuno, a dividersi in una lunga suite di movimenti abbondantemente superante il quarto d’ora di durata e in una coda tematica più breve), è di ben più metaforico approccio il senso estetico che viene trasmesso all’ascoltatore: due divinità demoniache, una per parte e relativo macro-momentum musicale, vengono invocate in guisa classicista al fine di giungere alla realizzazione (o annullamento) del sé protagonista; quella rispondente all’elemento dell’acqua e della genesi, Rusalka, atta a ridurre a cadavere la sovrastruttura corporea e a divorare l’ego, mentre Marija -del fuoco celestiale- riprende il discorso per innalzarlo (come prevedibile) verso le sfere della trascendenza e del vuoto assoluto.
Le nitide visioni che gli Impavida evocano in “Antipode” sono quindi di contrasto ma anche di compenetrazione, come ogni contrario esattamente antinomico risulta essere necessario all’esistenza stessa del suo carattere speculare, e la radice del sé resta al centro dilaniata da forze che solo in parte sente di essere in grado di controllare; un Depressive che sa di trascendenza, ricco di temi e riferimenti (ben più diretti e meno vagamente introspettivi rispetto al passato) a rispecchiare perfettamente l’astrattismo sonoro che il Black Metal estremamente dilatato dei due mette sul piatto.
Gli oltre quindici minuti che aprono il disco a nome “Demons’ Eerie Flutes Accompany With The Decay Of Corpses Defiled” annegano l’ascoltatore in acque di ofeliana memoria, trascinato a fondo dal marasma chitarristico improntato alla realizzazione di riverberi assordanti che montano l’uno sull’altro andando a creare insieme alla batteria un suono denso, pastoso (mai saturo), ma continuamente lacerato dagli scintillanti let-ring che fuoriescono dal fluire e squillano come trombe, perforato dai rintocchi secchi del rullante e dalla voce slabbrata e straziante a calibrare il contrasto, a riprendere gli ottimi, repentini cambi di tempo che si susseguono dischiusi in un muro del suono che gioca le sue carte migliori godendo sia del carattere impalpabile del debutto, che di un’inedita capacità di graffiare e colpire -devastante- senza sosta, spesso con ritmi estremamente incalzanti e gustosi (merce rara nel sottogenere); è un susseguirsi disperato di pennellate dalla difficile identificazione singola, accordi alti, acuminati e sgranati a tappeto sopra agli arpeggi distorti e intangibili che grattano i padiglioni auricolari, sostenuti da ritualistici momenti Ambient e di rumorismo field-recording di gran pregio (i cui picchi si raggiungono sia nell’incredibile moto ipnotico di rimando Post-Punk nella prima coda “Corpse Devourer”, a chiudere il primo ciclo di caduta, che nella narrazione finale della seconda “Towards The Pyre” – affidata all’ormai caratteristica declamazione ospite di Inkantator Koura dei Mosaic).
La prova vocale principale è da subito eccelsa, violenta, gioia e catarsi di tutti gli appassionati delle prove in harsh singing più acute, estreme e sentite; gli scenari descritti sono di atroce orrore e visioni terribili – l’obiettivo dantesco è specchiato tramite un moto inverso, non privo della magia insita nel misterioso e nel viaggio di scoperta verso una meta che è tanto anelata quanto, in realtà, sconosciuta. Per questo, la fine che i due orchestrano inizia disperatamente lenta: “The First Flame Initiates The Cleansing Of Putrid Terrestrial Spirits” dà fuoco alla pira e come tale cresce e prende terreno, progressivamente, dall’estrema dilatazione lugubre dei tempi iniziali e centrali (in un risultato che -non fosse per il ronzare frenetico e fumogeno delle chitarre- sarebbe di diretta e cristallina estrazione Funeral Doom), fino alle scariche che sgretolano le ampiezze conquistate in un contrasto di chiusura irrespirabile mentre il fumo si propaga e la mente vacilla verso il risultato ricercato dall’inizio. Il gusto melodico che fuoriesce dal coacervo di suoni vorticanti è al suo apice, ed è manifesta la bontà della capacità espressiva degli Impavida, saggiamente e longevamente nascosta in mezzo alle fitte trame ritmiche e alla stratificazione degli svariati effetti, della cura nella gestione dei riverberi e rimandi chitarristici, convulsi eppure facilmente seguibili per linearità e polarità, graziata infine dalla resa sonora grezza e allucinata che ricopre la squisitezza dell’intero lavoro.

“Antipode” è quindi sicuramente un disco di difficile ascolto che non trova il suo destinatario primo tra i più ferventi appassionati della melodia immediata e di rapida soddisfazione (i quali, ad ogni modo, potrebbero essere decisamente intrigati da elementi ravvisabili nel gusto del duo nonché da diverse soluzioni sparpagliate nel disco), bensì tra gli audaci esploratori dell’inafferrabilità stilistica e di ciò che, seppur finemente controllato, rimane astratto (se non repellente) per la maggior parte dei potenziali avventori. Gli Impavida maturano infatti la rarissima capacità di mettere l’ascoltatore di fronte allo specchio che mostra gli abissi interiori stessi di chi all’ascolto si approccia; timori, delusioni, emozioni, orrori e l’olezzo di segreti difficilmente confessabili. Tutto riversato come bile in cuffia senza la minima pietà. Prevedibilmente, ciò che vi viene riflesso e che ne fuoriesce per conseguenza tramite musica con la più brutale sincerità, privo di filtri cognitivi, potrebbe non trovare il gradimento di chiunque.
Del resto, l’arte più raffinata non può che essere emotivamente devastante. Ciò che è realmente urgente nella connessione che crea con chi ne fruisce non può non lasciare che inquieti; e gli Impavida sono dotati proprio dalla capacità di lasciare nell’ascoltatore immagini di nitidezza e inquietudine come pochissimi altri nel genere che propongono, e che la quasi totalità della concorrenza, lontanissima, non può nemmeno sognare di sfiorare.

Matteo “Theo” Damiani

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