Imago Mortis – “Ossa Mortuorum… E Monumentis Resurrectura” (2020)

Artist: Imago Mortis
Title: Ossa Mortuorum… E Monumentis Resurrectura
Label: Drakkar Productions
Year: 2020
Genre: Black Metal
Country: Italia

Tracklist:
1. “Al Passo Con L’Eresiarca”
2. “Nera Mistica”
3. “Pactum Est…”
4. “Finché Morte”
5. “Horribile Cose Che Ne’ Boschi”
6. “…In Libro Diaboli”

“A volte la Morte ha la pietà di soccorrere la Vita; a volte la Vita ha il dovere di soccorrere la Morte…”

Da oltre venticinque anni, in misura sempre più estesa e maggiormente fine, il cammino eretico degli Imago Mortis consiste in una riflessione personale ed esponenzialmente attenta sul valore occulto e duplice, sulla compenetrazione dei fenomeni di vita e morte. Il medium è un Black Metal locale, crepuscolare, ricco e al contempo sfumato di folklore popolare oscuro, arcano, millenarista ancor più che medievale; una miscela mistica lorda di sangue e tenebra dalle tinte sacrileghe, rischiarata solo da un flebile lume funereo, che giunge in “Ossa Mortuorum… E Monumentis Resurrectura” al suo innegabile apice compositivo e veicolare per ambizione, inventiva, ricercatezza, pienezza e versatilità di stile, in una maggiorata varietà sulla palette pittorica rispetto ai pigmenti finora utilizzati dalla band e -ciononostante- sempre costretta alla resa dei conti finale con un risultato di estrema coerenza, integrità stilistica e puro vigore.

Il logo della band

La processione spettrale verso i misteri e le nebbie del camposanto prosegue dunque indefessa e gloriosa, tale tanto nell’altezza del suo fine ultimo quanto nel progresso del percorso, tuttavia oggi arricchita in scrittura e ricercatezza d’arrangiamento ed intraprendente come mai prima d’ora nella storia della band – ed è a ben vedere, con ogni probabilità, proprio lo scarto sempre più ampio di granelli di sabbia a scendere nella clessidra tra una release maggiore e l’altra – elegantemente ed evidentemente speso per donarvi acuta attenzione tematica e musicale, così da permettere alle menti del gruppo di ricercare e farsi al contempo suggestionare in primo luogo, per primi, dalle vicende pronte a confluire su pentagramma, che continua a garantire con crescente importanza la grande maturazione da sempre intercorsa a cavallo delle singole pubblicazioni. E se la possente spinta evolutiva che aveva contraddistinto il passaggio dal primo a secondo full-length era a conti fatti mancata in “Carnicon”, almeno quanto bastasse per permettere al terzetto di andare oltre al livello raggiunto con lo spartiacque “Ars Obscura”, in “Ossa Mortuorum…” è altresì bissata, raddoppiata e persino rinverdita da quella che è un’attenzione al dettaglio e alla tradizione su più fronti: duplicemente musicale (di un Black Metal che ritrova ancor più nerbo in sfumature Doom e nella varietà di reminiscenze first-wave, così come nel Folk smaccatamente locale sia in suoni e strumenti che testi), nonché territoriale nelle tematiche che si fanno sempre più centrate, personali, ricche di unicità e pregio.

La band

I primi a finire sulla graticola arroventata dall’immagine della morte in quel paesaggio storico ed oscurantista che la band bergamasca offre alle porte del 2020 sono i dolciniani, guidati da Longino Cattaneo di Casnigo nella marcia in nome di Dio contro l’Ecclesia Romana sulle terre bergamasche e dalla perfetta sintonia nella pauperistica strumentazione del gruppo: chitarre scabre ma rotonde di Scighèra in primo piano insieme all’incedere secco e marziale (pur nella sua discreta e spesso sincopata complessità) di batteria ad appannaggio di Axor non coprono mai totalmente l’ampio spazio di frequenze destinato -e sempre garantito- al ruggire di basso dalla grande rilevanza melodica. L’alchimia esecutiva è evidente tanto nella coesione raggiunta entro i tre musicisti quanto nell’estrema capacità di legare a doppio filo lo scorrere di musica e testi, mai prima d’ora declamati, urlati ed interpretati con altrettanta varietà, vitalità, possessione ed atroce intensità da un Abibial letteralmente indemoniato, che dal canto suo sfodera una prestazione di enorme teatralità, inquietante credibilità, malsana naturalezza ed impressionante sincerità nella narrazione di ogni verso carico di oscurità, riflessione e tetri presagi di morte.
La costruzione dei brani si fa tuttavia di magistrale accortezza specialmente sulle ali delle vicende narranti la caduta -da santa a strega- di Caterina da Bèrs (inquisita in “Nera Mistica”, buio e purificazione col fuoco in musica da tempi e fattezze squisitamente misti, eppure immediatissima) e del sabba infernale da pagana tradizione padano-alpina (la firma, con sangue e spirito, di un patto con una congrega nell’incredibile ed esplicativa “Pactum Est…”); ed è proprio nel terzo brano, dopo aver già sfoderato la squisita capacità di coinvolgere con l’incastro di sezioni e rispettivi atti all’interno dei primi due pezzi (perfino tre, che descrivono nascita, ribellione e morte dell’eresia dolciniana, in “Al Passo Con L’Eresiarca”), che gli Imago Mortis piantano il corrotto vessillo nella prima vetta compositiva del disco: cupi, rituali cori scanditi nel ritornello, scatti e riprese ritmiche con un tiro da togliere il fiato nei momenti di maggiore apprensione, e risa diaboliche sulla tetra coda classic-Doom (nella terra di mezzo tra Isengard, Cathedral più angoscianti ed Hellhammer più neri) e siglano uno dei migliori brani mai scritti dalla band – un risultato in realtà condiviso sia con ciò che lo precede in scaletta che con l’imperdibile episodio pre-conclusivo dell’album.
Il leccare delle fiamme non si fa difatti meno carico di atroce strazio negli accordi aperti e vestali à la Dissection della tragica “Finché Morte”, maligna, maledetta, spiritata e ricca di melodie in minore; ma è la progressiva, fremente marcia di “Horribile Cose Che Ne’ Boschi” a rubare ogni possibile riflettore battendo incessante femori come mazze su tamburi, complice del misfatto lo strabiliante dinamismo tra la terrificante, nobiliare ma mostruosa prova ospite di Volgar dei Deviate Damaen e dell’eccelso Abibial ad avvicendarsi -in coppia- nelle interiezioni interpretate in varia lingua, dal dialetto del secondo alle attente sfumature temporali del primo – entrambi sublimi nel descrivere la caccia delle spaventevoli apparizioni e perfettamente accompagnati dal lugubre tessere del contrabbasso, splendidamente suonato ad arco in una danza mortale con i lapilli sbuffati dalla chitarra acustica, in una tumultuosa battaglia risoltasi nella scrittura ed incisione di dieci minuti altamente cinematografici in musica magnetica che pietrifica, ricolma di spaventoso incanto dipinto di nero folklore e terrore acuto a penetrare le ossa dell’ascoltatore.

“Et in verità, la cosa è di tanta terribilità che ad altro non la saprei assomigliare [se non] che alle proprie morti…”

È infine sulle note di “…In Libro Diaboli”, che fungono da epitaffio stregato riprendendo il tema musicale principale di “Pactum Est…” (svuotato di forma-canzone ma arricchito d’ipnotismo nelle registrazioni ambientali di una notte in tempesta, striata dalle ossa percosse dei tarlèk e dalla tristezza di un violino sinistro e ramingo che richiama suggestioni holbeiniane), che ci rendiamo conto con assoluto stupore ed altrettanta certezza di quanto la costruzione del disco sia raffinata, eterogenea ed estremamente curata, ricercata e pertanto beneficiante di un ascolto completo da capo a fondo. La produzione bilanciata che non castra l’efferatezza di cantato ed aggressione strumentale (certamente non più una novità per gli Imago Mortis) permette da ultimo al gruppo di superare ogni suo antecedente successo e di trasmettere con la maggiore efficacia di sempre tutto il fascino di un mondo proibito, anche in precedenza avvincente, ma comprensibile solo compiendo il metaforico passo indietro – visione ampliata tramite l’assenza di giudizio personale (e/o morale) in un processo mesmerico che combina musica e tensione artistica con rara intelligenza; quella capace di smascherare i demoni più intimi e personali, proprio per questo così largamente universali, nonché di restituire tramite musica di notevole coinvolgimento un viaggio splendidamente accorato ed immersivo tra terre reali e metaforiche, esteriori ed interiori, dal loro inafferrabile principio fino al più concreto vibrare della falce sul calar della sera.

“Sarà il pianto d’infante, l’impiccato al tramonto, la virtù perduta, il bestiame morente; la peste, la fame, la miseria, la guerra – il triste raccolto sulle terre lombarde.”

Matteo “Theo” Damiani

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