Gennaio 2021 – Aethyrick

 

Il primo sacrificio grondante sangue e saggezza sull’altare di stelle del 2021 è ufficialmente deposto con le movenze precisamente scandite e rituali degli Aethyrick: “Apotheosis” suona all’ascolto come un titolo seriamente parlante, sussurrante l’adesione decisa ad un percorso di vita che è calvario necessario per giungere sempre più in alto, nonché la riuscita del terzo capitolo nel sentiero in continuo divenire artistico del concentrato quanto ispirato duo finlandese celebrante oggi non soltanto il suo terzo rientro sugli scaffali con nuova musica in soli quattro anni, o la mera chiusura di una trilogia che giunge con il suo indiscutibile picco ad una conclusione di grande magnificenza, bensì anche il terzo centro sempre più omnicomprensivo e divoratore del gruppo con la sodale The Sinister Flame che, rinnovata cultrice della qualità sopra alla quantità, l’ha pubblicato in data 22 gennaio.
Seguono nella rassegna sul meglio del primo mese del nuovo anno storie di folklore e fiaba dall’altrettanto gelida Siberia nelle parole nere di un altro duo, quelle maggiormente fantastiche ma non meno cupe della Germania prostrata innanzi al verbo di Tolkien, trasposto qui in musica dal forte accento stilistico locale, prima di concludere la tappa del viaggio odierno con del sempre gradito marciume rossocrociato (per noi) parzialmente provvisto di pedigree: ma la prima perla azzurrescente del rosario delle mezzanotti sgranato, il primo conseguente passo -che sia uno di assoluta determinazione- è da intraprendersi accompagnato dal magnifico operato di Exile e Gall in stereo o in cuffia che si preferisca – in un solstizio dell’anima, nella sua notte più fitta, e nell’equinozio della carne che forgia coi suoi fuochi una chiave a forma di freccia. Ne venga fatto buon uso.

 

 

Immersa in un mare di melodie sinceramente strazianti e profondità blu abissale ammantata di velluto, dal valore atmosferico di una superba eleganza che tuttavia per nemmeno un secondo prescinde dalla concretezza o dal tagliare apparato uditivo e cuore del malcapitato al pari con un songwriting dalla squisitezza affilata come quello di pochissimi altri sulle medesime, riluttanti coordinate, la nera abrasione emotiva degli Aethyrick si libera totalmente dal fardello del corpo già malamente scalciato in “Golden Suffering” sul finire di “Gnosis” per arrivare, in “Apotheosis”, a compiere giri inediti in fatto di scrittura e spirito, inquietantemente gelidi ed ammalianti nel profondo da divenire brucianti, dolorosi e caldi nella grandiosa precisione veicolare e nella concretizzazione di obiettivi e strumenti di chi ha interiorizzato e capito, alla vera perfezione, come si vive e suona un certo, distante tipo di Black Metal facile d’ascoltare ma difficilissimo da comprendere: con personalità fine, momenti mozzafiato incastonativi, e senza stratagemmi d’opulenza che siano volti all’occhio e non all’anima; e proprio di quest’ultima gli Aethyrick hanno un bagaglio che, parimenti alle loro capacità di scrivere bellissima ed emozionante musica, sfiora l’infinità delle stelle.”

Il processo di vivido perfezionamento stilistico che il duo finlandese ha intrapreso fin dalla fondazione del progetto, avvenuta appena quattro anni fa, corre esponenziale di pari passo con il percorso concettuale e iniziatico di crescita e ricerca artistica e personale, riflettendosi in un’opera, “Apotheosis”, che da continuum discografico si eleva per il momento a vero e proprio punto di arrivo: le volute dal sapore arcaico si esprimono in un suono al contempo più voluminoso e organico, capaci di dispiegarsi e evolversi al meglio su dei brani che, complice il minutaggio più elevato singolarmente, si articolano in composizioni che risplendono e incantano per naturalezza e imponente sfaccettatura. Se definire “Apotheosis” il definitivo disco della maturazione degli Aethyrick andrebbe ingiustamente a sminuire il loro graduale, necessario e affascinante percorso, ed in special modo la fattura di un album quale “Gnosis”, è comunque proprio con questa uscita che i finlandesi sprigionano appieno tutto quell’incredibile potenziale che già nel precedente passo era ampiamente intuibile, manifestandolo tramite una forte personalità: forse difficile da carpire ad un ascolto approssimativo, ma estremamente raffinata ed elegante per chi possiede gli strumenti (anche emotivi) necessari ad una sua autentica comprensione.”

Forte di suoni lievemente più sporchi e melodie meno pronunciate rispetto al già magnifico “Gnosis”, la terza prova di Gall ed Exile li conferma tra i pochissimi artisti capaci di proporre uno stile che si potrebbe anche definire classico in tutto e per tutto senza, per questo, riportare subito né mai alla mente altri nomi di riferimento. Novelli Taake o Mgła dunque per intenti di base ma non realizzazione degli stessi, i due finlandesi partono da elementi ricorrenti nel settore e lavorano di fino su scrittura, dinamica personale e produzione; i pezzi mutano in maniera continuativa mantenendo così la tensione d’ascolto ad alti livelli, mentre l’ampio respiro dato alle chitarre si lascia qui apprezzare in ogni sua stratificazione e dialogo tra queste e le raffinate tastiere in background. Fortunatamente già più considerato, o quantomeno ascoltato, da critica e pubblico in confronto al predecessore, “Apotheosis” chiude sì una trilogia discografica ma non l’interesse verso gli Aethyrick, i quali anche con una proposta meno diretta si dimostrano meritevoli di molti più riscontri.”

“Con “Apotheosis” il duo finalndese ha finalmente trovato la giusta alchimia per costruire il suo taglio e la sua personale proposta di Black Metal: a metà via fra il classico suono finlandese e il classico suono svedese, laddove atmosfera e melodia oscura si mescolano alla perfezione creando un concentrato di melodie eteree ma al tempo stesso sulfuree, gli Aethyrick tornano in pompa magna ad un solo anno dal precedente album e percorrono determinati e sicuri un continuo viaggio sonoro fatto di luci cosmiche e ombre abissali.”

I già apprezzati Grima, forti della riuscita di “The Will Of The Primordial” nel vicino 2019, tornati in pista sempre per mano di Naturmacht Productions ad inizio mese con il loro quarto full-length intitolato “Rotten Garden”: un lavoro a tratti più oscuro del suo predecessore in toni, ma anche meno elaborato e forse più immediatamente fruibile nel complesso, che ha fatto breccia tra noi figurando persino come disco del mese del nostro Caldix.

Nuovo capitolo per i russi Grima che continuano su un terreno musicale a loro già noto attraverso colpi di Black Metal arricchito da atmosfere profonde ma d’impatto. Le composizioni vertono su una base sinfonico-folkloristica che va a scandire il mood di ogni singolo scenario che si presenta all’interno di “Rotten Garden”: a volte siamo in balia degli eventi e i sintetizzatori suonano freddi e distaccati; altre volte invece l’ambientazione si assesta su piani più calmi ed accoglienti dove l’ascoltatore può momentaneamente prendere fiato rispetto all’impeto sonoro che contraddistingue in realtà la maggior parte dei brani e dei momenti musicali. Ancora una volta i Grima restano dunque nella propria comfort-zone (non si riscontrano particolari peggioramenti ma neanche lampanti miglioramenti rispetto al precedente “The Will Of The Primordial”) con un prodotto comunque interessante nei suoi sviluppi e sicuramente di qualità, che chi già conosce e apprezza la band può decisamente fare suo a colpo sicuro.”

“Il minutaggio contenuto di “Rotten Garden” (mezz’ora abbondante, se ci si limita al materiale inedito) è senza dubbio un buon accorgimento da parte dei fratelli russi oggi in maschera lignea, specie se consideriamo il loro songwriting abbastanza incline ai rallentamenti e talvolta pure ad una certa pesantezza o reiterazione di fondo. Insieme quindi alla maggiore predisposizione all’ascolto ripetuto la freccia migliore nell’arco dei Grima rimane in ogni caso il fascino esercitato dalle keyboards, soavi e delicate anche nei momenti di concitazione che puntellano l’opera come rapide folate di gelido vento siberiano.”

“Oltre agli Aethyrick, gennaio ha visto il ritorno di un altro duo altrettanto valido: i Grima, progetto dei due gemelli Sysoev che per il loro quarto album non cambiano di molto le carte in tavola ma riconfermano al 100% il loro piccolo e personale mondo in musica, fatto di Black Metal forsennato per ritmi ed al contempo atmosferico per scelte di costruzione e suono, con le distinguibili incursioni Folk che impreziosiscono la scrittura di “Rotten Garden” rendendone il contesto quasi quello di una fiaba siberiana, tramite continui contrasti fra caldo e freddo amalgamati alla perfezione.”

Giunti invece al debutto dopo il promettente, seppur lontano dall’essere imperdibile, EP di presentazione intitolato “Unter Dem Banner Der Toten” del 2019, i tedeschi Grabunhold insistono a non sfruttare in copertina il bellissimo logo con cui si presentarono nel 2017 al mondo optando invece per una semplicità che pur dona alla loro musica, persistendo anche in una coltivazione stilistica tutta tedesca che ha consegnato in “Heldentod” (Iron Bonehead) innegabili frutti.

Si potrebbe facilmente obbiettare ai Grabunhold la mancanza di una qualsivoglia spinta o ambizione autoriale, sommersa com’è in un calderone di riff basilari e castelli in mezzo alla nebbia; eppure, di dischi come “Heldentod” non riusciamo proprio a farne a meno una volta ogni tanto. Man mano che nel Black Metal si moltiplicano infatti uscite di assoluta eccellenza sonora e concettuale, lavori simili servono utilissimi proprio a decostruire ogni sovrastruttura mentale ricordandoci che persino questo genere deve essere prima di tutto godibile per chi sa apprezzare le sue regole ed il suo linguaggio; e la band di Dortmund lo è sul serio grazie al ritmo esaltante dettato dalla oltremodo solida batteria, ottimo e fertile terreno su cui erigere una fortezza classica, ma lontana dall’essere scontata, fatta di lead dal gusto epico e sporadici quanto graditi ululati in voce pulita.”

Si possono raccontare benissimo le opere del Professor Tolkien in musica anche senza imitare o copiare pedissequamente Summoning e Blind Guardian. I giovani tedeschi Grabunhold ne sanno qualcosa, e lo dimostrano egregiamente nello svolgimento del loro album di debutto intitolato “Heldentod”, che a sua volta delizia le orecchie degli ascoltatori per merito di un Black Metal medievale dalle tinte di un fantasy cupo ed oscuro in cui il tipico suono teutonico, arroccato su tempi serrati e furibondi, chitarre rocciose e melodie sognanti, si amalgama perfettamente con i pochi ma decisivi inserti Ambient. L’adeguata produzione fa il resto, togliendo quindi di fatto il classico cliché del suono marcio necessario per una proposta nostalgica, sigillando un disco che non è certo esente da piccole sbavature – come, ad esempio, una voce pulita leggermente troppo stonata nell’opener che, smorzando il pathos della canzone, va a fare il contrario rispetto alle non dichiarate intenzioni; ma per il resto il disco fila via che è un piacere, specialmente in episodi come nell’emblematica “Flammen Und Schatten”, possibile miglior traccia del lavoro.”

Chi non si ricorda i Tardigrada di “Emotionale Ödnis” vada infine a ripassare e torni più preparato e disilluso al prossimo appello. Proceda poi nel notare nella line-up degli Hån un certo Kryptos, figura centrale proprio del nostro amato combo elvetico dal 2016. Senza fretta negli uni e ancor meno negli altri, “Breathing The Void” arriva a distanza di cinque anni dal debutto per Northern Silence  e sperando seguano i Tardigrada, Ordog ce ne parla così:

Artwork, logo e certi titoli manderebbero in estasi ancora prima dell’ascolto qualunque persona provvista di buon gusto e sani principi, ma per fortuna la musica composta dell’ensemble di Basilea va ben oltre la cacofonia di tanti altri adoratori caprini. Gli Hån spaziano infatti da partiture abbastanza tradizionali a sprazzi di inquieto ed irresistibile groove, il tutto condito da armonie sempre arrembanti (non siamo poi lontanissimi dai Misþyrming più catchy dell’ultimo “Algleymi”) e da un basso tumultuoso seriemente immancabile per chi si vuole cimentare in questo stile: dalle travolgenti battute iniziali fino alla scanzonata e rockeggiante chiusura, “Breathing The Void” è pertanto un album che non si vergogna affatto di essere alla portata di tutti – e di esserlo nel miglior modo possibile.”

Per oggi la rassegna si conclude così, con l’augurio di altri attesi ritorni svizzeri da queste parti (tra la sorpresa dei Paysage D’Hiver annuncianti “Geister” giusto un giorno fa, Ungfell in procinto e -chissà- magari Ateiggär?) più il consiglio quantomeno agli amanti più accaniti del folklore slavo nel Black Metal, a quelli non sufficientemente sazi con le sfumature di verde boschivo incluse in “Rotten Garden” dei Grima, di prestare un ascolto o due anche al particolare debutto dei Pagan Forest (intitolato “Bogu” ed uscito per Werewolf Promotion) che giunge negli impianti stereo del mondo dopo ben venticinque anni di militanza varia sotto il radar ed uscite unicamente minori; chi altrimenti non è già satollo di oscure fantasie medievali con i Grabunhold e le cerca più tendenti à la “The Shadowthrone” potrebbe trovare della felicità nel da molti apparentemente atteso debutto “Godslastering: Hymns Of A Forlorn Peasantry” a nome Hulder (restando peraltro tra le uscite Iron Bonehead Productions).
Febbraio invece si tinge di un altro verde, che da silvano si fa del tipo zero negativo, quello più Doom… Ma ne parleremo tra un mese.

 

Matteo “Theo” Damiani

Precedente Pagan Storm News: 05/02 - 11/02 Successivo Weekly Playlist N.06 (2021)