Gennaio 2019 – Rome

 

Quello che per i generi che trattiamo sembrava essere un inizio d’anno tutto sommato sonnacchioso si è rivelato alla fine ricco di qualità, anche se… Anche se…
Per la prima volta, a spuntarla in un articolo incentrato sui migliori dischi del mese, troviamo al (persino) primo posto un album che di estremo non ha nulla: si tratta infatti del ritorno Neo-Folk dei lussemburghesi Rome, e nonostante sia un genere che non siamo soliti includere negli articoli “best-of” in quanto fondamentalmente troppo distante dal resto che vi viene puntualmente incluso (pur trattando invece l’intero panorama poeticamente limitrofo in sede di aggiornamento), quando la qualità raggiunge certi vertici diventa assolutamente scorretto non farlo.
Pertanto, essendoci ritrovati con più di metà staff totalmente incline a nominare il commovente “Le Ceneri Di Heliodoro” (fuori dal 18 gennaio per Trisol Music Group) come disco del mese, il sorprendente duo svizzero dei Grusig si è dovuto “accontentare” di un secondo posto che, soprattutto vista e considerata l’incredibile fattura e genialità del suo debutto, vale comunque come primo assoluto ed indiscusso nel suo genere.
Quindi, in caso le sonorità meno aspre (se non altro -e in realtà soltanto- stilisticamente…) della proposta di originalissimo Neo-Folk vagamente marziale del primo classificato non dovessero incrociare i vostri gusti più estremi… Non disperate: gli altri tre contendenti che seguono mostrano altrettante sfumature (molto) differenti del meglio che il Black Metal di gennaio ha offerto in tavola da variegati fronti.
E ora spegnete il telegiornale, spegnete il telefono (a meno che non lo stiate usando per leggerci in questo momento), aprite la porta e uscite là fuori. Il cantautore Neo-Folk del ventunesimo secolo par excellence non vuole parlarvi di tempi antichi, ma di quel che accade sotto gli occhi di ognuno di noi in questo esatto istante…

 

 

Non sono canti perduti, non sono canti dimenticati e non sono canti di ribellione o rivolta quelli che i Rome propongono in arrangiamenti dalla semplicistica e raffinatissima eleganza per vestire i dodici brani contenuti in “Le Ceneri Di Heliodoro”; avrebbero tutto il diritto di esserlo, ma è piuttosto una personale, maggiormente acuta e sensibile -quanto più straziante- riflessione su quanto si sta svolgendo nel mondo e prevalentemente nell’Europa dell’hic et nunc. Distante dall’essere un disco politico, ricco di oscurità e di domande ma privo di arroganti risposte, accarezzando altresì con intelligenza argomenti terreni per raggiungere picchi d’intimistico esistenzialismo, la spiritualità riversata dall’esegeta nel precedente “The Hall Of Thatch” trova in questo caso nuovi e forse più immediati canali espressivi. Tuttavia dove la facile marzialità sinfonica, altrove sempre più ridondantemente fine a sé stessa, cede il passo alla finezza ed intensità di canzoni corredate (ed indivisibili) da testi che parimenti alla musica cristallizzano grandissimo impatto e splendida originalità, Jérôme Reuter diventa una metafora che non può far altro che scrivere il suo disco di matrice Neo-Folk più ispirato, maturo e più ferocemente coinvolgente di sempre. Uropia o morte!”

Artwork nietzscheano e sonorità Neo-Folk, l’ultima fatica dei Rome ritorna ad uno stile più lineare e meno impegnativo rispetto al precedente “Hall Of Thatch”. “Le Ceneri Di Heliodoro” è un album musicalmente piacente, a tratti persino catchy e continuamente coinvolgente ascolto dopo ascolto. I brani trasudano elitismo, sono spesso drammatici e altrettanto spesso fieri, ma sempre accompagnati da uno sfondo metaforico raffigurante un’Europa d’altri tempi, radicalmente diversa da quella proposta da alcuni personaggi che oggigiorno lacrimano randomicamente in Senato.”

È l’ocra del sole che risplende alle spalle dell’uranico rapace e della ctonia serpe a generare le sfuggenti e concitate ombre dell’eterna battaglia, campale e spirituale, di un’Europa sofferente raffigurata dai Rome ne “Le Ceneri Di Heliodoro”. Lo sguardo malinconico e critico si trasfigura in un ritorno a sonorità più Neo-Folk dopo le derive sperimentali del recente passato; veicolo che viene sfruttato al meglio sfoggiando tutte le proprie capacità cantautorali e riuscendo a creare brani da struttura e piglio al limite del catchy, ma così intense e ben costruite da superare la prova degli ascolti; se la longevità è anche facilitata da un evidente cambio di registro nel corso dell’opera, la classe e il timbro vocale inconfondibile di Jérôme Reuter fanno il resto, coronando uno dei migliori dischi che siano mai stati rilasciati dal progetto.”

 

 

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La nuova sensazione del rigoglioso underground svizzero che risponde al nome di Grusig e al debutto su full-length “Dr Ahfang Vor Misäärä”, uscito fisico ufficialmente già negli ultimissimi giorni di dicembre ma disponibile digitalmente (e non) solo dal 7 gennaio per Northern Fog Records. Redazione unanime nell’appassionarsi al fiorire di stranezze che il duo riesce già a veicolare con capacità invidiabilmente magistrale. Siatene pronti…

Considerando lo status di debuttanti assoluti dei Grusig, riconoscendone inoltre l’enorme e sprezzante originalità in mostra, nel prendere in esame “Dr Ahfang Vor Misäärä” possiamo non solo parlare di assoluta sorpresa ma di autentica rivelazione. Canzoni variegatissime ma immancabilmente legate da una visione nitida e sicura, trascinanti e travolgenti in modo sbalorditivo per la quantità -e qualità- di artifici stilistici impiegati senza il minimo apparente sforzo, si alternano complici tra loro per via di una scrittura dall’ampio gusto, sia melodico che di arrangiamento, in un contesto che strattona il carattere swing del folklore popolare svizzero in strambi e scanzonati canti Black Metal luridi di Blues fino al midollo. Se il mondo è ancora un posto accettabile, ne sentiremo presto parlare. Gloomy blues!”

(Leggi di più nella colonna di domenica dedicata a “Schtadtbrand 1405”, qui.)

Una grottesca e sinistra fanfara degli orrori cala con irruenza dalla Svizzera in un gennaio che rischiava di tradire la nostra anima più estrema: a salvare (o maledire) noi, e presto anche voi, irrompe “Dr Ahfang Vor Misäärä” dei Grusig, gioiellino che rischia di passare immeritatamente in sordina per la sua timida distribuzione. La coppia elvetica si presenta con un bizzarro sound forgiato da un saldo e personale approccio ritmico, che affianca il tappeto di grevi e gracchianti chitarre a sprazzi di solismi, incursioni acustiche e vocals esuberanti, che passano dallo scream acido ai concitati cori maschili senza evitarsi una buona dose di sgraziati gorgheggi; gettando ancora nell’impasto alcuni episodi di più frontale Black ‘N’ Roll otteniamo sette capitoli vari e che non lasciano spazio ad alcun tipo di noia, andando a formare un debutto di livello: ottimo biglietto da visita per una nuova band da non perdere assolutamente d’occhio.”

L’opera prima del duo svizzero si compone di cinquanta minuti di godibilissimo Black Metal opportunamente corretto con riffoni Rock e digressioni acustiche (non soltanto) malinconiche ma decisamente azzeccate. Nonostante la durata impegnativa, il ritmo non viene quasi mai a mancare e bastano pochi passaggi a far scattare il classico battito del piede sulle partiture prevalentemente non troppo veloci della batteria. A completare lo scenario di degrado urbano e sociale dipinto dalle strumentali troviamo un’ottima performance del singer Grüsu, il quale, aiutato dall’acidità metrica naturale della lingua tedesca (in questo caso in variante di dialetto svizzero), dona ulteriore malignità e devianza alle composizioni. Sebbene in alcuni selezionati momenti anche l’ascoltatore meno esperto non fatichi ad individuare le influenze sull’operato della band, i Grusig le mettono a segno in un discreto colpo su cui tornare anche dopo parecchio tempo dal rilascio; sempre se predisposti ad un po’ di schitarrate ben congegnate.”

“La scena musicale estrema svizzera sa sempre regalare delle grandi sorprese: dopo i menestrelli infernali Ungfell soltanto l’anno scorso, questa volta è il turno dei Grusig, duo proveniente da Berna che ci propone un Black Metal estremamente bizzarro, denominato testualmente dallo stesso gruppo Black ‘N’ Blues. Attorno ad un ampio pilastro portante di Avantgarde gravitano in circolo altre disparate influenze musicali, non sempre e necessariamente collegate fra di loro, ma (soprattutto quando mescolate) decisive nel provocare un mix sonoro assolutamente gradevole da ascoltare. Ottima sorpresa.”

 

 

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Menzione anche per il ritorno dei belgi Lemuria che, nonostante si siano presi tutto il tempo necessario e fatti attendere quasi un decennio, sono infine arrivati senza deludere al traguardo del terzo full-length per Massacre Records il 18 gennaio. “The Hysterical Hunt” è un disco per certi versi di usato garantito che farà la felicità di un certo tipo di appassionati; non senza calibrate novità e un concept originale e trasversale che ha colpito il nostro Feanor, che ce ne parla così:

Come nel caso del precedente disco, anche in “The Hysterical Hunt” ci troviamo di fronte ad un nuovo concept-album. Dopo la crociata dei cristiani contro i catari, questa volta i Lemuria hanno dedicato i testi alla vicenda della Bestia del Gévaudan: avvenimenti di sangue che sconvolsero il sud della Francia a metà del 1700. Musicalmente parlando, il gruppo propone un Symphonic Black/Folk Metal particolarmente sfaccettato, a scapito dell’atmosfera medievale del precedente album che viene parzialmente scartata in favore di un impatto molto più horror e drammatico in chiave decisamente cinematografica. Qualcuno potrebbe ritenere l’approccio quasi al limite del pacchiano, ma senza risultare stucchevole abbiamo una via di mezzo fra i migliori Dimmu Borgir e i Bal-Sagoth (similitudine con il gruppo norvegese che viene rinforzata anche dall’ottima prova del nuovo cantante Daan Swinnen, che in alcuni momenti ricorda lo Shagrath dei tempi migliori). Non troviamo tuttavia solo richiami esterni, perché la band dona ottime dosi di personalità all’ascoltatore specialmente sotto l’aspetto dei riff di chitarra, in cui si alternano sia sviluppi tipicamente Black Metal (anche leggermente melodici) ed altri che spaziano dalle trame epiche all’extreme, rendendo il tutto molto dinamico soprattutto nei momenti più concitati. Poche ma essenziali clean vocals femminili, infine, a coronare la riuscita di un album sicuramente consigliato a chi apprezza un certo modo di fare Symphonic Black Metal dal piglio moderno.”

 

 

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Infine, l’ultima menzione se la acchiappano i finlandesi Ondfødt con “Dödsrikets Kallelse”, pubblicato sul finire del mese (il 25 gennaio) da Immortal Frost Productions. Cinque gli anni trascorsi dal debut “Hexkonst”, ma i nostri sembrano non aver perso lo smalto che contraddistingue il Black Metal borderline tra finnico e svedese (da bravi svedesi di Finlandia, a fare di necessità virtù col meglio di entrambe le tradizioni), ed essere anche maturati…

In “Dödsrikets Kallelse” gli Ondfødt ci offrono mezz’ora abbondante e senza pretese di Black Metal solido, granitico e maligno, ottimamente suonato e ancor meglio prodotto, il cui impatto metrico nelle liriche in svedese (con pronuncia tipica dei residenti in Finlandia che resta più violenta della controparte in madre patria) impreziosisce la serie di brani dall’adeguata dose di dinamicità ritmica e di riffing. Sia quando impermeato di Darkthrone worship (“Fri Från Slaveri”), sia quando più atmosferico (“Födömd I Evihejt”), parimenti quando sceglie l’approccio melodico sinistro di natura svedese in una chiave più approcciabile degli Ondskapt di “Dödens Evangelium” (“Nerdreji I Mörkri”) o quando predilige la via esultante smaccatamente finlandese (“Midnatt”), l’operato del trio nella sua semplicità spicca per coesione tecnica; che si tratti di allungare leggermente il timing dei brani o di ridurlo all’osso (“No Erje Jo Satan”, con la partecipazione di un micidiale Mathias “Vreth” Lillmåns dei Finntroll al microfono), senza mai strafare la band porta a casa un risultato sicuro ma anche convincente. Lontanissimi quindi dal riscrivere un genere o dal rimanere per importanza e longevità negli annali, gli Ondfødt si riconfermano però in grado in tutta (e non così banale) semplicità di poter fare la felicità degli estimatori più avvezzi alle proposte meno contaminate.”

 

 

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L’anno sembra dunque essere partito col proverbiale piede giusto e febbraio pare (dateci ascolto!) promettere benissimo… Intanto, fate scorpacciata di questa selezione che stavolta ce n’è davvero per tutti i gusti (o in alternativa, se questi vi hanno proprio fatto tutti schifo, provate a recuperarne o scoprirne qualcuno dal calendario delle uscite in caso non l’abbiate già fatto), che a riassumere il secondo mese del 2019 ci pensiamo quando sarà ormai concluso. Come sempre. O quasi.

 

Matteo “Theo” Damiani

 

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