Funera Edo – “Ars Alchemica” (2017)

Artist: Funera Edo
Title: Ars Alchemica
Label: Autoprodotto
Year: 2017
Genre: Black Metal
Country: Italia

Tracklist:
1. “Vega”
2. “Mistica Cosmica Dell’Assoluto”
3. “Contra”
4. “Catarsis”
5. “Ars Alchemica”
6. “Per Aspera Ad Astra”
7. “Ego Sum Deum Meum”

Ars Alchemica. Alchimia o arte alchemica paracelsia, giardino della filosofia o accesso all’interiore laboratorio segreto in cui mescolare fondamenti di solve et coagula e dei segreti dell’Io.
I motivi etico-poetici di un titolo simile possono avere chiaramente le più svariate interpretazioni, dal tributo all’opera di M. Nottingham alla personale rielaborazione di un percorso ben più intimo; ciò che però una scelta del genere spiega univocamente -all’ascolto del disco- è la vera e propria perfetta alchimia trovata dai romagnoli Funera Edo nel loro secondo full-length.

Il logo della band

“De Bello Heroica” li aveva visti debuttare nel 2012 per Lo-Fi Creatures con una prima prova in studio, sicuramente già provvista di diversi spunti d’interesse, ma ancora lacunosa di una scrittura che rendesse realmente avvincente ogni momento del fluire del lavoro. In cinque anni le cose nei ranghi dei Funera Edo possono tuttavia dirsi decisamente cambiate: il duo chitarristico si è dimezzato nel solo Strid che, parallelamente, si è preso carico anche dell’intero apparato vocale in seguito alla dipartita del primo vocalist Erebo. Il quintetto diventa quindi un terzetto, un power-trio che dimostra con “Ars Alchemica” di aver impiegato e sfruttato al meglio la situazione, aver sintetizzato le sue capacità già presenti ma non ancora pienamente espresse nel debut grazie allo snellimento del personale, trovando l’alchimia cui si accennava in apertura ed incanalandola in un fluido approccio compositivo dall’inedita incisività tonante.
I Funera Edo scelgono per l’occasione di autoprodursi e di non avvalersi dell’ausilio di alcuna label. La forte convinzione di avere tra le mani un prodotto di ottima qualità e con sette decisive carte in regola, sommata -ne sono certo- ad una palese e conscia consapevolezza di un miglioramento realmente tangibile al netto dell’ascolto, deve aver reso la scelta in fin dei conti non troppo drammatica.

La band

I tratti stilistici battaglieri ed iracondi del debutto permangono, ma il trio rivolge ora lo sguardo in alto, verso il cielo, in direzione dell’astro più luminoso (ad eccezione di Arcturus) dell’intero emisfero boreale celeste. La più folgorante stella della costellazione della Lira, sicuramente non una coincidenza che proprio questa sia così sovente presa in esame in ambito musicale e certamente non una nuova conoscenza in ambito Black Metal (anche solo strettamente italiano), guida la spedizione dei Nostri nel viaggio indagatore di dedali che incominciano a prendere compiuta forma con “Vega”.
La composizione è già affascinante, protesa in moto di sviluppo rettilineo verso una meta ora tangibile. L’esplorazione è rappresentata su pentagramma con una lunghissima introduzione che si snoda e si carica di dettagli, di ritmo, di armonie calde e mediterranee nello scambio tra chitarrismo e linee di basso contrappuntate, fino alla maestosa esplosione pre-conclusiva in cui finalmente le urla di Strid ammaliano, colpiscono, aggrediscono e lacerano come precedentemente non era stato mai fatto dal combo, piene, possenti, decise, sorrette dall’utilizzo imponente ma grandiosamente controllato dei sintetizzatori in modulazioni vicine ad ottoni e corni. Quella che è davvero qualcosa in più di una lunga introduzione, bensì un pezzo dalla scrittura di altissimo livello, anticipa la velocità di “Mistica Cosmica Dell’Assoluto” che invoca, ci implora di distruggere la rete del corpo che ci rende schiavi della materia terrena. In doppietta di sublimi variazioni ritmiche e stilistiche con “Vega”, rende chiaro come il fulcro delle composizioni abbia un animo quasi prettamente intimista e filosofico.
Il tempio del crolla su se stesso e viene ricostruito spontaneamente dalle sue stesse macerie. Una volta palesato, è dunque l’ora di scagliarsi a tutto corpo contro il nemico: “Contra” è uno dei pezzi più immediati e di facile presa del platter, e -pur risultando un unicum in semplicità- mette bene in mostra il Black Metal dei Funera Edo come ruvido, bellicoso, ardito e a tratti old-school, scattante e futurista in termini poetici, senza comunque mai porli tardi epigoni di una fiamma ormai spenta da ere a loro volta superate.
I più appassionati di Black Metal italiano potranno iniziare a riconoscere quell’inclinazione vicina ad un certo stile compositivo che ha distanziato e caratterizzato (solo) le migliori espressioni nazionali del Belpaese (tra le altre, fantasmi di Black Metal Invitta Armata?).
Stile e tόpoi tipicamente italiani quindi. Spite Extreme Wing, i Frangar di “Bulloni Granate Bastoni”, le atmosfere calde degli Janvs ed il distacco quasi marziale dei Nova, ma anche la poetica dei Movimento D’Avanguardia Ermetico; tutti nomi che possono senz’altro far capolino pur senza centrare mai appieno, neanche per un momento, il taglio personale che i Funera Edo impiegano per rivestire “Ars Alchemica”.
Le riprese sono febbrili in “Catarsis”, le metriche liriche emozionanti ed incartate con cesello su ritmiche roventi. Il growl impiegato nei rari momenti più rotondi tendenti al Death innalza a vertici incredibili le riprese tirate affidate invece alle affilate parti in scream più esaustive e galvanizzanti dell’intero disco. Il cantato, come viene veicolato, la naturalezza della versificazione in lingua madre è in particolare di raro valore e risulta essere sicuramente uno dei punti di autentica forza del disco.
Non sorprende che ciò che segue sia scelta come title-track: un vero e proprio anthem, carico di melodia vincente ed atmosfera, ma anche di malinconia che incomincia a far capolino tra i solchi, perché insieme a “Per Aspera Ad Astra” mette in luce tutte le difficoltà e i dolori del cammino per arrivare ad un’invitta e piena realizzazione interiore. Ancora groove implacabile (l’ottimo lavoro del basso -qui come altrove- fornisce parte del profondo tiro inarrestabile dei pezzi), sprazzi persino Black ‘N’ Roll, epiche melodie in maggiore baciate dal calore del Sole.
“Ego Sum Deum Meum”: il punto d’arrivo. Una consapevolezza che chiude il cerchio e riprende proprio quella stella da cui eravamo partiti, ancora progressione, ottoni e corni in conclusione, uroborica figura, pezzo dal finale magistrale e dal ritornello con presa di solido marmo che vi sfida a non mandare in repeat il disco non appena concluso.
Il tempio è infine ricostruito.

Dilemma dai tratti esistenziali: ricalcare pedissequamente o creare ex-novo, sulla base di intuizioni prestabilite, una sintetica koinè che possa fornire un comune denominatore per re-interpretazione interiore, o ancora, cercare con spasmo febbrile una modernità a tratti ineffabile.
Una conclusione ontologicamente accettata potrebbe essere che rimanere attuali, spesso e volentieri, prescinde finanche da entrambe le possibilità.
Del resto, ci è appena stata data dimostrazione di come una manciata di lemmi impiegati e maneggiati da un’autentica sensibilità artistica possiedano invero facoltà poetiche ed espressive totalmente prive di confini.

Matteo “Theo” Damiani

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