Fellwarden – “Oathbearer” (2017)

Artist: Fellwarden
Title: Oathbearer
Label: Eisenwald Tonschmiede
Year: 2017
Genre: Atmospheric Black Metal
Country: Inghilterra

Tracklist:
1. “Guardian Unbound”
2. “Sun Of Ending”
3. “In Death, Valiant”
4. “Wayfarer Eternal”
5. “A Cairn-Keeper’s Lament”
6. “Sorrowborn”

Il concept Fellwarden nasce nel 2014 dalla mente di The Watcher (all’anagrafe Frank Allain, di fama Fen) come progetto parallelo per sperimentare una forma senz’altro più tirata -ma incredibilmente atmosferica- delle composizioni che hanno reso discretamente celebre il suo principale output compositivo.

Il logo della band

La nuova musica dell’inglese viene registrata a cavallo tra il 2014 ed il 2015 con l’aiuto di Havenless alla batteria (anch’esso membro dei Fen) e dopo quasi altri due anni di minuziosi lavori, interrotti dagli svariati impegni profusi in direzione del più famoso progetto dei due, il debutto “Oathbearer” è pronto per essere rilasciato sotto il drappo della tedesca Eisenwald Tonschmiede.
Il Black Metal dilatato e rarefatto dei Fellwarden richiama il percorso tracciato nell’isola Britannica proprio nel lustro in cui è stato originariamente composto, andando sicuramente ad inquadrarsi all’interno di quelle coordinate atmosferiche che hanno emozionato gli estimatori del lavoro di Wodensthrone, Winterfylleth (e in ovvia parte di quello degli stessi Fen) o, vagando più a Nord, degli scozzesi Saor. Tuttavia, la proposta non si ferma ad essere manifestazione tardiva di uno zeitgeist stilistico per certi versi già surclassato, trovando invece -anche oggi- nuova vibrante linfa e personalità grazie al maggior rilievo donato ad un’eterea ed impalpabile visione d’insieme che caratterizza la raffinata fattura dei cinque brani (più uno acustico) che compongono il lavoro.

La band

Distanti echi trasportati dal vento narrano le memorie di guerrieri e civili innocenti caduti tra valore e profonda dignità, i loro dolori scalfiti nella pietra di tumuli che lo scorrere inesorabile del tempo leviga ma che mai realmente cancella. Così il riffing potente e punchy dell’opener “Guardian Unbound” si snoda per otto minuti carichi di pathos, snocciolando gran parte dei crismi stilistici del progetto: importanti keys d’atmosfera innalzano i pinnacoli delle romantiche suggestioni tradizionali e forniscono il corretto gancio melodico all’ascoltatore per poter descrivere in musica i soffusi lamenti d’immensi paesaggi naturali distesi a perdita d’occhio. La staticità che solitamente fiacca il genere di riferimento è cautamente evitata grazie alla capace scrittura dei pezzi, che si librano nell’etere di una vasta moltitudine di tempi e registri pur mantenendo sempre il focus sul solo complessivo risultato finale, stratificato e multi-layered, come dimostra la sofferta “Sun Of Ending” tra partiture Doomish e pungenti accelerazioni controllate. Nel mentre si creano il loro spazio vivaci e poderosi cori maschili, a volte intervallati da pacate clean-vocals, e l’onnipresente sottile velo di tastiere gioca sui suoi timbri e sulla sua dirompenza come se la dinamica sezione ritmica della musica fosse costantemente spazzata da una fresca brezza che permea i sentimenti dell’intera release – alle volte sinfonici ed orchestrali (l’approccio cinematografico di “Wayfarer Eternal” ne sia esempio) ed altre più ieratici, in decisivo bilancio tra rocciosità e piglio gaze (“In Death, Valiant”).
L’utilizzo delle chitarre acustiche contrappuntate si ritaglia il suo ruolo di prim’ordine nel sobrio sipario che precede la conclusiva, maestosa, suite finale: i quasi tredici amari minuti di “Sorrowborn” volano in un baleno, tra passionali e sentite vocals, furore alternato a commovente delicatezza, storie di tradimento e sangue, eroismo d’altri tempi e lontane emozioni ormai abbandonate.

Atmosfere ampie, voluttuose, fanno di “Oathbearer” un album di classe, ricco di variazioni ma dall’intreccio narrativo solido e performante, con una direzione chiara, decisa, ed un sound tanto incorporeo quanto fresco ed interessante. Un coro di spiriti, un’esibizione della grandezza senza tempo e della vastità straziante dei paesaggi naturali d’Albione ci trasporta per cinquanta minuti di ottima musica in un mondo distante in cui la sfida fra tristezza e pace interiore trova manifestazione tangibile in antichi cairns, memento mori d’un fato ineluttabile che accomuna ogni caduto, il cui ricordo delle azioni -nonostante sempre più prossimo all’oblio, in una società che reputa così marginale la rimembranza- non svanirà mai per chi sa ascoltare il fievole sillabare armonico della corrente.
In fondo, non siamo altro che ciò che conosciamo.

Matteo “Theo” Damiani

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