Cosmic Church – “Täyttymys” (2018)

Artist: Cosmic Church
Title: Täyttymys
Label: Kuunpalvelus Records
Year: 2018
Genre: Atmospheric Black Metal
Country: Finlandia

Tracklist:
1. “Aloitus”
2. “Armolahja”
3. “Sinetti”
4. “Huuto”
5. “Vangittu”
6. “Alttari”
7. “Täyttymys”

Realizzazione, compimento. Se si riflette per un momento su quanto sia arduo anche solo sperimentare in modo tangibile la presenza di tale condizione durante un’intera esistenza, sempre più vicina all’idealizzazione continua che non alla sua concretizzazione, si converrà che veicolarne in musica un’essenza così precaria o effimera sia cosa alquanto difficile. L’improba ma quasi scontata mansione spetta all’approccio da sempre altamente esistenzialista, spirituale e gnostico dei finlandesi Cosmic Church, che decidono di portarla su pentagramma come sfrangiata ma irrevocabile chiusura di un calcolato percorso (le ultime sette tracce, per la terza ed ultima volta incluse in un full-length) che era giunto ormai a livelli d’attesa particolarmente alti; comprensibilmente, se sommiamo la qualità in ascesa dei lavori del brillante progetto all’ingombrante scelta di un titolo come “Täyttymys” (realizzazione) per descrivere quello che, fin dall’iniziale concepimento, è stato designato come il parto finale della one-man band di Luxixul Sumering Auter.

Il logo della band

Al momento della stesura di questo scritto, dei Cosmic Church non sono pertanto rimaste che musica e ricordo a sbiadirsi, cortesia non richiesta di tempi frenetici non certo galanti con la natura profonda e introspettiva del progetto, nonostante il conto alla cassa -in termini di giudizio- non potesse poi essere così poco sapido dopo i fasti di un lavoro magistrale come “Ylistys” e della rinnovata conferma nel transitorio (ma assolutamente non trascurabile, specie ai fini della comprensione del nuovo ed ultimo album) “Vigilia”, valoroso EP del 2015.
Il terzo full-length è effettivamente e come da teoretico copione la chiusura di un cerchio, sempre e comunque contraddistinto dalla ricchezza di un nebbioso Black Metal atmosferico foriero di spiccata personalità, tuttavia, e a un primo approccio in modo anche spiazzante, “Täyttymys” sceglie di risolvere con un incendio il rapporto col passato slegandosi dalle strategie soprattutto strutturali del secondo album, risultandogli decisamente più breve in timing ma anche meno coeso (complice una maggiore varietà d’idee), concludendo però con sicura coerenza quel viaggio concettuale e d’ode naturalistica, ontosofica e cosmosofica, che lega tutta la musica incanalata nel framework lirico-fotografico che n’è ottima sinossi.

Luxixul Sumering Auter

Col passare degli ascolti, i primi dei quali claudicanti per via di una struttura meno rifinita delle lecite priori aspettative, la comprensione del disco svela tutta una serie di sfumature a incastro che, sapientemente curate per essere percepite proprio sul lungo percorso, rivelano loro volta una natura diversa: da un lato stile e trademark ormai collaudati che trovano specialmente nel chitarrismo nebuloso, frammentato ed imprevedibile nel distendere riff sempre pieni e dal grande interesse costruttivo, uno dei punti più distintivi e di ritrovo col passato; dall’altro una serie di numerose novità che il nostro ha voluto maliziosamente introdurre e solo accennare in “Täyttymys”, facendone spesso e volentieri vero e gustoso perno.
Le atmosfere tiepidamente estive (non a caso ultimo guizzo di vita precedente alla morte iconografica dell’autunno) rinfrescate dall’implementato uso di tastiere e sintetizzatori ad arricchirne le trame, in precedenza affidate alla quasi sola complessità e disarmonia del chitarrismo, sono il cambiamento più immediato e sensibile – garantito in primis dalla produzione ad opera della coppia Heikki Kivelä e Janne Nurmela (engineering e mix), seguita dal maestro dell’elettronica Jaakko Viitalähde al mastering (già dietro al risultato finale degli Oranssi Pazuzu, fra i numerosi altri), che con grande spazio e respiro valvolare valorizza in particolar modo l’escapismo tastieristico permettendogli di distendersi ampio e intessere l’atmosfera del disco.
S’è vero che la scelta è sicura conseguenza di piccoli arrangiamenti ormai divenuti un punto di forza nell’operato finale dei Cosmic Church, la conseguenza nel lasciare minor superficie al suono fuzz e ovattato delle chitarre nell’interezza dello spettro sonoro ha minato l’immediatezza d’impatto di diverse soluzioni più aggressive, finite per essere un po’ mortificate (si noti con attenzione la minor efficacia dei passaggi meno armonici in let ring per la riduzione generale del gain) in una produzione notevolmente più generosa con tastiere ed effettistica. Tuttavia è proprio questo aspetto, insieme all’approccio delle sei corde annebbiato per tono, ma altresì più preciso nel legarsi ai sommessi giri armonici delle scale folkloristiche per assonanze e contrappunti (le cui melodie vengono disperse proprio in ogni brano, ma con forse maggior importanza in “Armolahja” e nella title-track), a fornire il suono unico di cui il disco si fregia e che permette all’intero lavoro di ritagliarsi una personalità assoluta restituendo in cambio una gamma di sensazioni completamente diverse dai suoi predecessori: con l’esclusione della partenza e del riff portante di “Vangittu” e di più sporadici passaggi, la gelida malinconia lascia infatti spazio totale al sereno grandeur epico da cui veniamo concretamente avvolti. L’episodio più emblematico in tal senso è -non per nulla- l’altissima sezione centrale della conclusiva title-track, che non nasconde nemmeno una manifestazione del grande miglioramento in fatto gusto melodico nell’inaspettata parte soft che le fornisce incipit, ma il tepore non muta nemmeno quando i richiami alla lontana istintività caotica del debut “Absoluutin Lävistämä” (con cui “Täyttymys” condivide anche la struttura di quattro effettivi lunghi brani e tre miscellanee tra introduzione -in questo caso canzonata- e interludi) fanno capolino per via delle slegature dei sintetizzatori, di difficile assimilazione perché disparate nella loro frammentata semplicità e non sempre in biunivoca collaborazione col chitarrismo per garantirne profondità maggiore (le calcolate discrepanze in “Vangittu” ne siano vigoroso esempio).

Trovarsi di fronte all’ultimo capitolo dei Cosmic Church inizia così a creare rammarico ed è proprio il finale inaspettato, diverso, narrativamente aperto della storia raccontata dalla creatura finlandese ad avere un sapore agrodolce: se l’oscuro e primordiale preludio panteistico “Absoluutin Lävistämä” aveva dato sfogo all’inizio in medias res dell’inverno apparentemente perenne di “Ylistys”, e l’imprevisto ma naturale passaggio alla primavera di “Vigilia” (fin dal titolo) ha poi spianato la strada al finale estivo di “Täyttymys”, una solitaria uscita di scena autunnale priva di narratore consegna invece totale libertà alla fantasia dell’ascoltatore su quel che sarebbe potuto accadere in una successiva e forse meno transitoria prova, in seguito al congedo ufficiale che racchiude invece ogni nuova e rimanente sperimentazione del compositore come ultimo e imperdibile regalo per chiunque abbia apprezzato, o sia rimasto stregato, dal suo peculiare stile negli anni; e anche se, in sostanza, con “Täyttymys” non possiamo dire di trovarci di fronte alla migliore uscita a nome Cosmic Church, né dinnanzi a quel canto del cigno che avrebbe auspicatamente dovuto far rimpiangere fin da subito l’uscita di scena della band, è innegabile questo sia il solido addio (pieno di momenti di altissima qualità) di chi con serenità si è reso conto di aver raccontato tutto ciò che si era imposto di raccontare.
Come un moderno Prospero shakespeariano al termine della sua tempesta, dopo anni di visioni magiche, Luxixul Sumering Auter rinuncia ai poteri e chiede commiato al suo mentore, la natura, e liberazione al suo pubblico. E noi, a malincuore, lo ringraziamo impotenti e siamo costretti a concedergliela come dovuto atto di merito alla sincerità e grandezza della sua arte.

Matteo “Theo” Damiani

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