Column N.28 – Cultes Des Ghoules & Vreid (2018)

 

Era da un po’ che non ci vedevamo in occasione di una colonna domenicale, dico bene? Il ritorno dell’appuntamento che nelle ultimissime settimane è stato un po’ latitante è però segnato da un motivo (o per meglio dire un solito paio) più che ottimo: un nuovo disco dei Cultes Des Ghoules.
Sì. Così. Esattamente così. E, come se non bastasse questa assenza di preavviso, tra meno di dieci giorni.
Una settimana esatta da oggi, per la precisione, che ci separa dall’uscita di “Sinister, Or Treading The Darker Paths” – fulmine a ciel sereno, diciamo solo per prevedibilità, tuttavia sicuramente attesissimo da molti e -senza troppi inutili misteri- atteso soprattutto da queste parti dopo quei tre dischi di qualità sfavillante culminata nell’inverosimilmente sorprendente ultimo e doppio album datato 2016: il teatralissimo, ambiziosissimo e molti altri aggettivi terminanti in -issimo, “Coven” (aka malvagie, maligne vie da preferirsi a quella scontata dell’amore). Il suo successore piomberà nel mondo digitale il 23 settembre, come di consueto per Under The Sign Of Garazel Productions (Hell’s Headbangers su territorio americano, o nuovo mondo qualora preferiste, e Of Crawling Shadows per una versione in cassetta – o mondo su nastro magnetico)… E ovviamente se siamo qui a parlarne è perché a tutto ciò è stato anche accompagnato il rilascio di un’anteprima senza troppi preamboli: “Children Of The Moon”, opener in sette minuti del quarto album in studio della band polacca che -ci fanno sapere- oltre ad essere giusto un’introduzione a ciò che verrà è anche il pezzo decisamente più breve dell’intera release (gli altri quattro superano la decina di minuti).
Tuttavia non c’è bisogno di sentire molto altro per essere quantomeno intrappolati dallo stile inconfondibile, ma in continua mutazione di atmosfera, dei nostri che -questa volta- si presentano ritualistici come non mai, ma sempre abrasivi, anche quando indossanti una inedita veste lenta ed ossessivamente al limite del Doom più sporco che si snocciola attorno ad un solitario, laconico riff che detta l’intero incedere del personalissimo cerimoniale. Non serve davvero altro per rimanere almeno incuriositi dalle novità che sicuramente attenderanno, a brevissimo, in “Sinister”.

Lo trovate su BandCamp.

Tracklist:
1. “Children Of The Moon”
2. “Woods Of Power”
3. “Day Of Joy”
4. “The Serenity Of Nothingness”
5. “Where The Rainbow Ends”

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Un altro disco che a brevissimo ascolteremo nella sua interezza è anche il nuovo parto dei norvegesi Vreid che, giunti ormai al terzo singolo rilasciato in anteprima da “Lifehunger” (fuori il 28 per Season Of Mist) dopo le già analizzate “Lifehunger” e “Black Rites In The Black Nights”, ci lasciano pochissimi dubbi sulla qualità che per l’ennesima volta andremo a trovarvi.
“One Hundred Years” (che sarà l’effettiva opener del disco dopo un’introduzione acustica), già presentata nella playlist di giovedì – motivo per cui a qualcuno di voi non sarà forse strettamente nuova, in guisa di garanzia ci mostra una band che non teme cali d’ispirazione nemmeno a pagarli, restituendoci tutta la ferocia melodica per cui la band di Sogndal è ormai nota in cinque minuti abbondanti di pezzo dalla grande varietà di riferimenti e dall’enorme completezza stilistica. Maturità, ingegno, scrittura di altissimo livello e una musicianship dalla mutua comprensione nonché simbiosi invidiabile, sono gli ingredienti per la vittoria.
Una curiosità che non a tutti può essere così nota è che il testo è preso in prestito dal celebre quanto discusso scrittore norvegese Knut Hamsun, più precisamente da Om Hundrede Aar Er Alting Glemt (“In One Hundred Years All Is Forgotten”, poesia tratta dalla raccolta del 1904 intitolata “Det Vilde Kor”), al cui operato, figura ed innegabilmente vulcanica vita la band ha voluto dedicare omaggio altrettanto intenso e significativo.

Lo trovate su YouTube.

Tracklist:
1. “Flowers & Blood”
2. “One Hundred Years”
3. “Lifehunger”
4. “The Dead White”
5. “Hello Darkness”

6. “Black Rites In The Black Nights”
7. “Sokrates Must Die”
8. “Heimatt”
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Matteo “Theo” Damiani

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