Aprile 2020 – Frangar

 

Non esiste disfatta, non esiste fuga, bensì una sola tempesta di ferro e fuoco tricolore abbattutasi sulla penisola ad aprile: il ritorno discografico dei figli ribelli di Marte Frangar suona tanto marziale quanto una vera e propria scheggia impazzita, candidandosi non solo all’apice della loro discografia ma anche in cima alla vetta tra i migliori parti musicali di (ormai sparuto, sempre più isolato, ma in tutta evidenza indomito e persistente) retaggio Black Metal Invitta Armata, seminando rovina nello stereo dello staff e sbaragliando gli svariati contendenti lasciati a congelare nella neve, nel freddo, nel sangue e nel fango – nonché aggiudicandosi, conseguentemente, la palma di miglior disco del mese per la redazione mostratasi prontamente unanime nel riconoscerne i pregi artistici. Si badi, nondimeno: la cannonata novarese, intitolata “Vomini Vincere” ed uscita per Darker Than Black Records, è stata ciononostante affiancata per grossa parte di noi (per un paio, in realtà, addirittura superata) dal debutto dei sorprendenti Duivel e da un altro disco in particolare (svizzero? No, Debemur Morti!) che con una sola ma convintissima nomina chiude l’articolo di oggi. Ma se ci conoscete lo sapete, c’è ovviamente anche un quarto -consigliatissimo- album a fare a pugni con gli altri tre nominati e che trovate scendendo là, in mezzo alla zuffa mortale.
Tempo quindi di riaprire le ostilità e tornare in prima linea, ora, nel groviglio di filo spinato tra morte, digrignare di denti ed il versare di lacrime amare… Sembra essere tempo di uomini, pare essere tempo di vincere: che canti dunque impietoso Saturno primordiale, che dunque suoni la sirena – che dunque esploda la folgore

 

 

Infuocata valanga di proiettili micidiali tutta italiana: così i Frangar affilano ogni loro arma e la riuscita di ogni canto visceralmente patriottico consegnando un manifesto musicale di Black Metal rumoroso, bellicoso, guerrafondaio, combattivo, compatto e allo stesso tempo deragliante e variegato in scrittura grazie alle nervature Black ‘N’ Roll in chitarre e basso, e all’attitudine Punk nel ritmo semplice, serrato in disparatezza di tempi ed instancabile, affiancando i momenti più gustosi e ricercati che furono il successo di “Bulloni Granate Bastoni” (“Tempo Di Uomini”) con altrettanta strafottenza (l’intro, nemmeno a dirlo) e rinnovata serietà d’intenti (la pregevole “Memento” e soprattutto il conclusivo, straziante, quesito esitenziale in “Varcare”) senza mai (s)cadere nella trappola dell’ampollosità ideologica né della pretenziosità intellettuale. Lotto accorato, ricco di sentita passione e rilettura storica, pertanto pregno di una sicura intransigenza che si abbandona alla legittima lettura personale dell’ascoltatore, eppure di dolore e sacrificio ultimo per un ideale che, qualora privato di colore, diventa infine universale metafora vitale – l’importanza di trovare qualcosa per cui vivere e morire, ma in primo luogo anche solo -e possibilmente soltanto- grande musica.”

Non c’è più tempo per la glorificazione, per gli inni in pompa magna e per le risa fra commilitoni: solo sangue, fede, morte – e ancora sangue. Se non li conoscete, prima, chiedete alla questura; poi, andate a scoprire “Bulloni Granate Bastoni”; tornate infine alla nuova munizione intitolata “Vomini Vincere”, perché è proprio dal loro secondo capitolo discografico che i Frangar riprendono quell’incalzante e serrato ritmo di marcia che li aveva in precedenza tanto contraddistinti per originalità, in questa uscita più che mai sporcato ed inasprito dal fango della trincea, dal suono violento, fragoroso e gracchiante del riffing, dalle grida di un Colonnello fuori di sé nell’ispirare ed incitare i suoi in battaglia: niente più serenate del soldato per la donna amata, bensì soltanto una sofferta e dolorosa andatura a capo chino, i cui passi sono scanditi da colpi di fucile, detonazioni e sentimenti di amarezza, rivalsa, ma anche significato ed appartenenza.”

Come un’effettiva opera futurista il ritorno dei Frangar è un manifesto all’azione, alla musica e allo spirito che guardano all’unisono solamente in avanti: “Vomini Vincere” estende con grande stile il carattere incalzante e sprezzante di “Bulloni Granate Bastoni” deliziandoci con una perfetta combinazione di Black Metal ed Hardcore-Punk, andando persino a migliorarne alcuni aspetti in termini di songwriting e struttura compositiva dei brani. Il comparto lirico, come al solito, è una componente essenziale dello scorrere del disco, e Il Colonnello appare decisamente in forma e pronto a sputarci dritti in trincea, rendendo così ogni secondo dell’album una vera e propria ode al soldato: alle sue fatiche, ai suoi sacrifici, ma soprattutto alle sue conquiste e al suo onore. La sirena suona e voi tutti siete chiamati all’ascolto.”

“Ascoltando “Vomini Vincere” l’unica cosa di cui occorre armarsi è la pazienza, poiché alla luce dei precedenti trionfi e soprattutto di una introduzione così peculiare ci si aspetterebbe anche questa volta raffiche basse di proiettili e adrenalina a fiumi. Invece lo squadrone novarese cambia inaspettatamente tattica, e la vittoria finale di nuovo conseguita risulta per certi versi ancora più meritata che in altre occasioni: l’assalto inizia confondendo l’avversario, con un songwriting maggiormente ambizioso sul quale il gruppo talvolta convince e talvolta incespica; ma arrivati alla seconda metà si trova finalmente la quadra tra questa evoluzione strutturale ed il tiro implacabile dei meglio Frangar, mentre la chiusura è una bella sorpresa per il tono drammatico con cui viene musicato il campo di battaglia dopo lo scontro. Il resto lo fanno delle chitarre dal suono favoloso, graffianti come non mai e perfette per accarezzare qualcuno contropelo.”

“Dopo il leggero passo falso in staticità del precedente “Trincerocrazia”, ritornano i paladini della patria Black Metal Frangar con il nuovo “Vomini Vincere”: degno seguito del tanto amato “Bulloni Granate Bastoni”, in cui ottimi di riff di chitarra e una buona attitudine hooligans, da strada, ben si mescolano con la voce abrasiva del leader-Colonnello e con l’approccio storico e bellicoso alla materia Black Metal fornito dai sample di canti di guerra patriottici, generando così una buona alternanza che rende il disco appetibile dall’inizio alla fine. Bentornati!”

I Duivel, che vengono dai Paesi Bassi ed escono per Ván Records col loro debutto “Tirades Uit De Hel”, portando nel lettore non meno rumore degli italiani che li hanno staccati di un paio di nomine. Arcana magia lo-fi, incanto raw e scarnificato, nerezza piena di fame transilvana e madrigali della notte; ma soprattutto un comparto di canzoni fatte di purissima personalità, sfavillante songwriting e stramberie assortite che vi viene consigliato con estremo calore.

“Casinista, incendiario, sgraziato eppure mutaforma, eclettico e pieno di sottili diavolerie d’arrangiamento in una composizione di gran classe, “Tirades Uit De Hel” aggredisce e al contempo ammalia su vari livelli: quello battente, martellante di un comparto ritmico d’eccezione nel servire momenti canzonati e tirati alla pari con hook sempre decisivi nello spiccare, nel catturare l’orecchio e nel rendere memorabile ogni brano (nonché estremamente trascinante l’intero disco nel suo complesso), quanto quello di chitarre sanguinolente che provvedono a librare nell’etere riff ricchi di spigolosità, eccelse sferzate servite da coacervi di frequenze atipiche, di costante e notevolissimo interesse; la sinergia di queste ultime con gli inserimenti tastieristici e di sintetizzatori analogici restituisce da ultimo un valore atmosferico magico e diabolico, incrostato di sporcizia e veleno, graziato da ugole sgangherate e di carattere. Insomma: il Diavolo sarà anche nei dettagli – ma veste inconfondibilmente arancio.”

“Lo sfrigolare delle chitarre, solide e al contempo squisitamente sporche, la fa da padrone in un contesto dove fischi e sozzerie di varia natura vanno quasi paradossalmente a braccetto con una produzione scarna ma estremamente bilanciata, in grado di far risaltare le caotiche e ricche partiture intrise di atmosfere malignamente suadenti. I synth sfumano e danzano come un demone impertinente e la mezz’ora abbondante di “Tirades Uit De Hel” basta e avanza ai novelli untori Duivel per mettersi in mostra e marchiare le porte di mezza Europa con il loro sigillo virulento, prima manifestazione del malsano Black Metal della combriccola neerlandese.”

“Esordio col botto ed ottimo debutto su full-length in generale per il novello gruppo dai Paesi Bassi, nei cui ranghi militano a vario titolo anche (due) musicisti a noi ormai ben noti e provenienti dagli Urfaust. Il gruppo fa del furore sonoro la sua arma più vincente in un contesto fondamentalmente efferato e grezzo in cui, di conseguenza, trovano ottimo spazio e sfogo le quattro differenti prove vocali, tutte adeguatamente malate nelle varie tracce, e in cui non manca nemmeno una certa dose di atmosfera grazie alle sapienti tastiere inserite a sprazzi – espediente stilistico che a tratti ricorda proprio le sperimentazioni degli Urfaust, in un contesto tuttavia decisamente meno spirituale e ben più palpabile.”

Dall’estremo nord della Finlandia e da sempre parecchio arrabbiati con divinità monoteistiche assortite, i Curse Upon A Prayer si sono presi più tempo dell’ultima volta per consegnare un seguito discografico; ed il risultato del loro terzo full-length ne ha giovato parecchio a giudicare dalle parole dei nostri Ordog e Feanor, galvanizzati dall’odio misantropico che trasudano le note (e l’incredibile voce) di “Infidel” – fuori per Saturnal Records dal 10 di aprile e descrittoci così:

In questo difficile periodo storico è necessario avere certezze, ed oltre a morte e tasse è ormai assodata l’incapacità della Finlandia di non cacciare fuori almeno un prodotto più che valido ogni mese: svegliatisi presumibilmente con la luna ancora più storta di quella ritratta in copertina, i quattro lapponi scatenano un caos infernale che non ha bisogno di produzioni dozzinali per imprimersi nella carne, così come testimoniano dal primo ascolto i letali riff sparati a tutta velocità e ciononostante sempre pulitissimi per suono ed esecuzione. Altro elemento trascinante di cui è doveroso fare menzione sono le terrificanti parti vocali, proferite con un’intensità ben al di sopra della media tanto nei registri più bassi quanto nelle urla più lancinanti. Intransigenza, stacchi melodici ben dosati e persino varietà ritmica: parafrasando qualcuno, “Infidel” è un pugno sul volto di (qualunque) Dio.”

“Si sa, le tematiche anti-religiose sono un assoluto classico del Black Metal da oltre trent’anni, il primordiale fiore all’occhiello del genere si potrebbe dire, ma in realtà uno solo dei tanti veicoli con cui questa musica si erge a dissacrante sputo su ciò che è apparentemente caro all’uomo; e se le tematiche anti-cristiane possono ormai suonare quasi un “cliché” (virgolette senza dubbio obbligatorie) per molti, quelle anti-islamiche sono ancora qualcosa di alquanto raro. Non si esclude però in futuro una rapida espansione di questo genere di liriche, e sembrano anticiparlo (e dimostrarlo) bene i finlandesi Curse Upon A Prayer che puntano tutto proprio sull’odio verso la meno adocchiata delle tre grandi religioni monoteiste: ma la loro non è una semplice provocazione fine a sé stessa, perché il comparto strettamente musicale offre un validissimo esempio di Black Metal, ovviamente di stampo finnico, dal taglio leggermente moderno, in cui parti forsennate e momenti sulfurei vengono bene amalgamati dall’ottima vena melodica che serpeggia all’interno del disco. Totalmente sugli scudi infine la prova vocale del cantante, che riversa odio anti-islamico nelle orecchie dall’ascoltatore alternando scream laceranti ad inaspettati growl cavernosi.”

Attesi al varco da queste parti, anche gli svizzeri Aara hanno trovato positivo riscontro col loro ritorno in pista a stretto giro (in parafrasi battere il ferro finché caldo che nemmeno i Dauþuz): En Ergô Einai”, secondo full-length del duo elvetico che segue “So Fallen Alle Tempel” dell’anno scorso e ha visto la luce sugli scaffali per Debemur Morti Productions ad inizio mese, convince Ordog con le sue doti atmosferiche – non senza un vago impensierimento…

Artwork affascinante quanto ingannevole quello che adorna “En Ergô Einai”, album in cui gli elvetici inondano di luce le partiture già alla base del riuscito debutto pubblicato un anno fa. Messo a punto un sound meno cacofonico e decisamente più chirurgico, la particolare proposta dell’act viene rimaneggiata su misura senza sconvolgerne le principali caratteristiche ma bensì concentrandosi sul dare un feeling davvero magico, quasi commovente alle fantastiche armonie delle sei corde. L’impatto emotivo delle composizioni, seppure a tinte diverse, rimane dunque lo stesso dell’esordio, ed anche se i caratteristici cori gregoriani stavolta non risultano pervenuti (forse per via di un concept a tema illuminista poco adatto) non si può certo dire che gli Aara abbiano sprecato le loro abilità di scrittura; desta un minimo di preoccupazione soltanto l’elevata produttività del duo, il quale è già impegnato nella stesura di un nuovo full e difficilmente riuscirà a fornire riletture sempre nuove del proprio stile, decisamente già centrato, se non altro a questi ritmi.”

La risposta all’appello, alla chiamata alle armi (o alle cuffie e agli impianti stereo, se preferite…), è stata dunque udita forte e chiara nei quattro distinti atti appena discussi, e con ciò anche le fila su un mese di aprile inaspettatamente forte sono state tirate – quanto propiziamente scongiurato è stato il trionfo del bene sul male, ancora una volta; probabilmente, non senza una piacevole sorpresa qualitativa visto e considerato il nefasto presagio che la pandemia globale ancora in corso sembrava gettare sulle sorti (quantomeno più prossime) delle uscite musicali soltanto trenta giorni fa.
Raffiche di colpi e sinfonie d’acciaio previste e in arrivo anche durante maggio, pertanto? Il calendario lascia largamente presupporre una risposta affermativa, ma la verità ultima è che lo scopriremo insieme, al solito, soltanto tra un mesetto… Giorno più, giorno meno. Nel mentre, usiamo la nuova rassegna fresca di stampa per intonare canti di giubilo sfrenato alla vittoria e alla forza del pandemonio. L’indirizzo della cripta tanto lo conoscete, senza necessità vi venga rammentato. Giusto?

 

Matteo “Theo” Damiani

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