Agosto (+ Luglio) 2018 – Mantar

 

Abbiamo voluto fare una cosa un po’ diversa dal solito. E con una copertina da far impallidire J’Adore di Dior.
Lo scorso mese molti di voi avranno notato l’assenza del consueto recap con i migliori dischi del mese per quanto riguarda luglio. La verità è che, inizialmente, il mese in questione aveva sputato un po’ di dischi tutto sommato interessanti e di rispetto ma nessuno dei quali che meritasse per davvero una menzione come effettivo disco del mese, non avendo nessuno di essi, in definitiva, convinto la quasi totalità della redazione. Specialmente se confrontato con alcuni colossi di altri mesi. Però agosto ha fatto una discreta differenza avendoci invece uniti completamente sotto la bandiera di un unico disco (ed uno soltanto): “The Modern Art Of Setting Ablaze” dei tedeschi Mantar, uscito ufficialmente solo qualche giorno fa per Nuclear Blast Records.
Di conseguenza, al posto di donarvi (dopo un mese di pausa) un tristissimo articolo con un solo full-length (anche se nei mesi estivi è pur-sempre e pur-troppo la prassi), abbiamo pensato di riunire il periodo più caldo e musicalmente meno intenso dell’anno per portarvi a riscoprire anche ciò che di buono il bistrattato luglio ha avuto da offrire, creando un articolo bimensile e dandovi così in pasto anche la selezione di luglio precedentemente rimasta in stand-by con i quattro dischi più interessanti dell’intera coppia di mesi.
Quindi, dopo pareri e commenti sul convincente “The Modern Art Of Setting Ablaze” del duo tedesco, troverete anche nominati i tre (!) dischi che lo staff ha trovato di maggiore impatto ed interesse nell’arco di luglio, consci della loro singolare qualità e che molti di voi -per personale propensione- potrebbero anche finire con l’adorare. Un’altra uscita Nuclear Blast non sarà quindi una sorpresa per tanti che ci seguono, destinata a dividere oggi e (forse?) domani, mentre un disco (recuperato) dagli Stati Uniti con la sua enorme originalità suonerà sicuramente più fresco e nuovo ad orecchie avvezze alle avanguardie. Ah, e abbiamo anche degli altri tedeschi non totalmente nuovi su queste pagine.
Ma, andando con ordine…

 

 

“Probabilmente “The Modern Art Of Setting Ablaze” non è ancora il disco della consacrazione che era lecito aspettarsi dai Mantar dopo un’anteprima del livello di “The Age Of The Absurd” e dalle premesse gettate con il penultimo full-length “Ode To The Flame”. Ciononostante, pur con un andazzo più monolitico e a tratti meno brillante nel riffing del suo predecessore, la miscela rumorosamente esplosiva al testosterone di estremismi D-Beat e Crust rivestiti di Black li riconferma in modo convincente e si rivela efficace nella sua sgolata semplicità pezzo dopo pezzo – soffocando però, tra ripetizioni fin troppo vicine di rallentamenti granitici e di sfuriate caustiche, quei momenti in cui il duo ha davvero avuto il coraggio di osare un po’ di più; come accade nella già citata opener e in altri ottimi brani del calibro compositivo di “Midgard Serpent” e “The Formation Of Night”.”

(Ascolta “The Age Of The Absurd” e “Seek + Forget” nelle colonne ad esse dedicate, leggendo di più al riguardo, qui e qui.)

Che la personale commistione di metal estremo a tinte nere e spregiudicatamente punkeggianti dei Mantar fosse una formula vincente era già stato dimostrato due anni fa con “Ode To The Flame” e viene ribadito da un “The Modern Art Of Setting Ablaze” che li vede, seppur minimamente, rimodellati nel sound e dotati di nuova linfa. Il riffing, sempre trascinante nella sua essenzialità ci assicura, duettando con il poderoso batterismo, un asfissiante e ardente vortice sonoro. Prendere o lasciare: la natura stessa dei Mantar, con la loro violenta e sanguigna immediatezza, probabilmente ci impedirà di rispolverarlo frequentemente negli anni, ma basta ascoltare un paio di pezzi per capire che proprio in questa ferale istintività risiede il loro maggior punto di forza, che come appariscenti fenici li fa ardere, magari dimenticare, ma poi rinascere con rinnovato fascino.”

Solido e convincente ritorno dei tedeschi Mantar, i quali non si discostano particolarmente dal precedente lavoro confezionando un buon album Black Metal influenzato da elementi Hardcore e Doom. Manca solamente il salto di qualità che si ero visto tra il primo e secondo disco, infatti “The Modern Art Of Setting Ablaze” contiene una miscela di musica esclusivamente frontale e poco dinamica (fatta eccezione per l’opener “Age Of The Absurd”), di conseguenza il risultato è costituito da tanti singoli di qualità che tuttavia faticano a trovare un filo conduttore in grado di valorizzare al meglio la totalità delle composizioni.”

Anche i metallari in fondo hanno bisogno del loro disco dell’estate, quei tre quarti d’ora di musica coinvolgente con lo scopo di alleviare la monotonia dei mesi caldi. “The Modern Art Of Setting Ablaze” assolve questa funzione senza però suonare banale. La fisicità e l’immediatezza dell’Hardcore vengono rese ancora più letali dalla nube caliginosa di suggestioni Black Metal presenti in tutto il lavoro, rinforzate dalla voce assatanata di Hanno. La bassa velocità della maggior parte dell’album non ne sacrifica l’intensità, bensì lo rende ancora più incalzante, con molti passaggi squisitamente Black & Roll che faranno la felicità degli headbanger più selvaggi.”

“L’ultimo dei Mantar, se ascoltato per qualche traccia o in modo sporadico, può essere anche considerato come una risorsa. Se preso nell’insieme completo, invece, fatica a non ristagnare nel suo ambiente. È un lavoro pur sempre buono, ma anche superficiale. Durante l’ascolto è difficile definire e distinguere questo o quel brano; il punto è che va bene così. Malgrado l’album lasci infatti con poca voglia di esplorazione i più esigenti in fatto di profondità, colpisce per la durezza melodica che viene smorzata da rari stacchi quieti, e per la forte vena Hardcore Punk, presente soprattutto nella voce.”

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Quello che verrà senza timore di smentita ricordato come il disco più strambo di luglio 2018, battezzato “Vile Luxury”. I suoi creatori vengono dagli Stati Uniti, non casualmente da NYC e fanno della città stessa il materiale d’ispirazione per un Black Metal che tramite sperimentazione di un’audacia cervellotica e jazzistica -a tratti folle- fa il giro e rimane difficilmente definibile tale. Sono gli Imperial Triumphant, il loro terzo album è uscito il 13 luglio per Gilead Media e probabilmente non fa per voi.

“Vile Luxury” è un ossimoro. Lo è anche la musica in esso contenuta e lo è l’operato schizzato della band. È uno di quei dischi che odierete o amerete perché gli Imperial Triumphant, con una proposta tanto originale ed ostica d’inserti simili nel Metal estremo, non tengono a ricevere altre reazioni che non risiedano nella dicotomia più spinta e feroce. Quella delle fogne e della povertà agli angoli volontariamente inosservati di New York city, il contraltare di uno splendore pacchiano, volgare, sontuoso che rifulge in ottoni e Jazz dalle slegature poderosamente futuriste e dalla difficoltà di approccio a tratti esagerata. Nel suo stridente contrasto, “Vile Luxury” non concede sconti perché è figlio imperfetto di una realtà spesso incapibile e non pienamente afferrabile. Per chi ama l’avanguardia e lasciarsi andare verso altezze o bassezze dal sottile filo che separa stupidità acuta e genio mai consapevolmente inaccessibile.”

 

I tedeschi Firtan che con il preannunciato buon lavoro stipato nei solchi di “Okeanos” confezionano il loro secondo full-length, questa volta ad opera di Art Of Propaganda Records, (anch’essi) in data 13 luglio. L’impegno, la maturazione e le capacità sono tangibili, le buone idee non mancano, quindi due di noi hanno voluto parlarvene in particolare per l’appeal del disco nei confronti di una ben particolare e distinta fascia di ascoltatori.

“Chi ama le suggestioni che spaziano dal Black al Pagan, passando per serioso Folk e relativa magia ai sintetizzatori, e lo ama specialmente se portato nel tempo presente con un pizzico di modernità condita da strutture non totalmente immediate e stimolanti, troverà diverso pane per i suoi denti in “Okeanos” dei tedeschi Firtan: un disco dalle atmosfere stregate, con vocals di spessore, ma in definitiva ancora non privo di difetti (tra cui un inutile eccesso di complessità compositiva nella sua seconda metà, per il momento non pienamente gestito ma sfoggiato dalla band) tuttavia provvisto di una buona dose di originalità, una prima parte quasi folgorante e -non ultime- innegabile capacità che potrebbe sbocciare da un momento all’altro in composizioni che il gruppo donerà nell’immediato futuro.”

(Ascolta “Seegang” e “Tag Verweil” nelle colonne ad esse dedicate, leggendo di più al riguardo, qui e qui.)

A distanza di quattro anni dal precedente album, torna la giovane band tedesca Firtan con il secondo full-length dal titolo “Okeanos”, dove i ragazzi di Lörrach propongono un valido intreccio fra le atmosfere cupe ed eleganti del Black Metal e i riff massicci tipici del Pagan Metal teutonico, con una punta di folklore che s’inserisce perfettamente grazie alle parti di violino. Rispetto al precedente album le tastiere sono meno invadenti e hanno meno peso nel costruire le parti atmosferiche, compito che in questo caso è totalmente ricaduto sulle chitarre, non importa siano elettriche o acustiche. Anche il reparto vocale è nettamente migliorato, con il cantante che gioca su più registri vocali per variare al meglio le sfaccettate sensazioni delle tracce. Sebbene da un lato il loro suono sia ancora acerbo sotto alcuni punti di vista, dall’altro si mostra un netto miglioramento rispetto al passato, con delle ottime premesse per il futuro.”

 

Tra una copertina riciclata, dei titoli riciclati, qualche lirica riciclata, autocitazionismo musical-concettuale di riff che manco a dirlo sono riciclati, e chi più ne ha più ne riusi, gli Immortal riescono comunque e sempre a fare di necessità virtù e, con riconoscibilità, breccia nei cuori di molti nonostante ogni avversità. “Northern Chaos Gods” è piaciuto a qualcuno di noi e a qualcun altro decisamente meno – ma due penne hanno sentito avesse in ogni caso le carte in regola per essere consigliato a più di un estimatore. For Fans Only?

Chi vi scrive non aveva nessuna aspettativa rosea sul nuovo album dei norvegesi Immortal, sia perché il precedente album “All Shall Fall” fu per il sottoscritto una mezza delusione, sia per via delle vicende avvenute all’interno della band e culminate con l’inaspettata fuoriuscita di Abbath, un pezzo dell’anima del gruppo. Motivo per cui questo è un album a cui occorre approcciarsi in maniera totalmente libera, perché il risultato è per certi versi inaspettato: un buon album in stile Immortal al 100%, che potrebbe accontentare sia i vecchi fan che quelli più recenti, in cui non mancano le tipiche sfuriate gelide del gruppo (la title-track ne è un valido esempio), così come non sono assenti le parti epiche che hanno segnato la seconda fase della produzione a tal nome. La conclusiva “Mighty Ravendark”, ad esempio, che potrebbe tranquillamente diventare un nuovo cavallo di battaglia del gruppo. Da menzionare l’ottima prova alla batteria di Horgh, ma sopratutto un buon ritorno alla chitarra con validissima prova vocale di Demonaz, che non fa rimpiangere assolutamente Abbath.”

Per lenire il dolore (più che altro psicosomatico) dei fan per l’abbandono di Abbath, Demonaz e Horgh realizzano un album il cui intento è celebrare quasi 30 anni di Black Metal. Ed il duo si rivela capace di amalgamare sapientemente le evoluzioni del proprio sound succedutesi nel corso degli anni, senza contare la dignitosissima prova di Demonaz come chitarrista e cantante. A fare alzare leggermente il sopracciglio è però un autocitazionismo ai limiti del ridicolo, sia a livello lirico che musicale. Le ritmiche, i riff e specialmente i tipici arpeggi di chitarra, oltre a rimandare sempre ai grandi classici, tendono ad assomigliarsi parecchio durante l’ascolto, per tacere su titoli e testi presi di peso da “Battles In The North”. Non che dispiaccia fare di nuovo una visitina dalle parti di Blashyrkh, ma nel 2018 non basta di certo il cosiddetto fan-service per impensierire la concorrenza.”

 

Missione compiuta ed ultimi mesi estivi salvati, alla fine. O dite di no? Dite che ci siamo persi qualcosa? Come sempre potete farcelo sapere nella maniera e luogo che più preferite. Saremo tutt’occhi e se serve ci metteremo anche le orecchie.
I Righeira direbbero che l’estate sta finendo, noi vi diciamo che tutto sommato non importa perché settembre sgancerà delle belle sorprese di cui ancora non possiamo parlarvi ma che faranno sicuramente la nostra e la vostra felicità. Potete iniziare a pregustarne qualcuna, per poi rimanerne delusi, grazie al calendario sempre in aggiornamento che trovate come sempre qui. E che vi sia piaciuto o meno questo appuntamento bimensile e straordinario la prossima volta torneremo con il solo settembre, al solito ad inizio ottobre o giù di lì.
Fine delle trasmissioni.

 

Matteo “Theo” Damiani

 

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