Wolves In The Throne Room – “Celestial Lineage” (2011)

Artist: Wolves In The Throne Room
Title: Celestial Lineage
Label: Southern Lord Recordings
Year: 2011
Genre: Atmospheric Black Metal
Country: U.S.A.

Tracklist:
1. “Thuja Magus Imperium”
2. “Permanent Changes In Consciousness”
3. “Subterranean Initiation”
4. “Rainbow Illness”
5. “Woodland Cathedral”
6. “Astral Blood”
7. “Prayer Of Transformation”

Gli americani Wolves In The Throne Room, nati nel 2002 ad Olympia negli Stati Uniti D’America, in una manciata di anni sono passati al vertice (e diventati vera e propria punta di diamante) della -a quei tempi nascente- naturalistica e ritualistica scena che ha preso il nome di Cascadian Black Metal.
Formati per mano e volontà dei due fratelli Aaron e Nathan Weaver (il primo dei due a più riprese impegnato anche con un altro astro di questa diramazione stilistica/geografica di Black americano, i Fauna) debuttano con una solida coppia di demo rispettivamente nel 2004 e 2005 che suscitano molto interesse nella piccola ma accorta Vendlus Records che si occupa della stampa del loro primo effettivo full-length, “Diadem Of 12 Stars” del 2006, che stupiva per la freschezza e particolarità del suono della proposta nonché spiccata personalità del duo, già abile nel destreggiarsi tra le vorticose ritmiche prettamente Black Metal ma impreziosite da parti più ritualistiche dal fortissimo sapore arcano, ancestrale e naturalistico (qualcuno ha detto la parola “Bergtatt”?).
Conseguentemente a quanto detto, coloro che possono vantare di aver -per molti versi- proposto un modo di intendere e percepire l’essenza stessa della nera fiamma, che andasse in questa direzione ante-litteram, sono senz’altro i (già citati tra le righe) primissimi Ulver, i connazionali Agalloch (verosimilmente ancor più dei norvegesi e del sempre presente, quando si parla di atmosferico, conte Vikernes con la sua inscindibile creatura Burzum) ed i troppo poco conosciuti Weakling con il loro unico lascito: “Dead As Dreams” del 2000.

Il logo della band

A nemmeno un anno di distanza (si parla di mesi, è il 2007) esce il secondo capitolo discografico dei fratelli Weaver: “Two Hunters”. Il disco, questa volta egida dell’ottima Southern Lord Recordings -che subito ha intuito la caratura imperdibile dei due factotum-, mostra le caratteristiche che effettivamente avrebbero poi contraddistinto il suono particolarissimo cercato di riproporre quattro anni dopo (in modo ancor più sublime) in “Celestial Lineage”, disco del quale vogliamo parlare in questa sede. Il terzo disco “Black Cascade” del 2009, mostra invece i Nostri alle prese con il loro lato più meramente Black Metal (pur sempre atmosferico e dilatatissimo) che per certi versi può essere definito meno particolare a livello di suono, ma senz’altro altrettanto straziante se non addirittura -sotto questo versante- ancora a livelli più alti.

La band

La quarta incarnazione dei due lupi provenienti da Olympia prende il nome di “Celestial Lineage” e vede il mood della band farsi ancora più introspettivo, sciamanico ed inevitabilmente sempre più a contatto con la natura e le sue luci ed ombre (fonti d’ispirazione principali dei Wolves In The Throne Room), riprendendo in parte le atmosfere suggestive di “Two Hunters” e prendendo allo stesso tempo quindi le distanze dalla furia di “Black Cascade” (seppur mantenendola incanalata in minori occasioni).
I Nostri sono accompagnati -in questa occasione- da una lunga lista di ospiti a suonare gli strumenti più vari: si passa dall’arpa classica a finezze come il mellotron (rotto!), l’organo, le soavi parti vocali femminili della talentuosa Jessika Kenney (potete trovare la sua ugola anche a disposizione dei Sunn O))), compagni di label dei WITTR), finendo con archi e varie percussioni addizionali.
Ci troviamo al cospetto di un disco che fa delle atmosfere spesso al limite col Doom il suo vero punto di forza, da contraltare alle più spietate (ma sempre ragionate) parti Black Metal che trasmettono pienamente la ferocia della natura e tutta la forza talvolta distruttiva di cui è capace, una ieraticità straziante e tagliente di distaccata rivincita sull’uomo dopo il disperato e rassegnato “Two Hunters”, che si snoda tra cambi di tempo repentini e spettacolari, aperto (nella monumentale “Thuja Magus Imperium”) da campanelli, sintetizzatori e leggerissimi cori di voci eteree che lasciano però presto spazio alle zanzarose distorsioni, ai blast-beat, rincorse in doppia cassa ed alle harsh-vocals più tipiche del genere. Ma il pezzo di apertura non manca di strappare ogni singola corda che tiene insieme l’animo dell’ascoltatore grazie ad un stupefacente assolo disarmonico, sapientemente posizionato nel momento di più alto carico emotivo della traccia.
Le incursioni dark-ambient fanno presto capolino nella seconda traccia, un interludio che ci accompagna verso “Subterranean Initiation”, dalla partenza di furente Black Metal che lascia però sempre spazio ai synth e le loro armonie maestose e seducenti sulle quali la voce rauca e tagliente di Nathan s’innesta accompagnando l’ascoltatore in un turbinio di emozioni d’innanzi alle quali è impossibile rimanere indifferenti. La melodia profonda ed innalzante al tempo stesso che ci accompagna verso la fine del pezzo è pura magia: l’intreccio delle chitarre al limite del cacofonico con i veri protagonisti, i sintetizzatori, rapisce ed incanta.
Un altro veloce stacco ambient introduce “Woodland Cathedral”, pezzo dall’incedere radicalmente Doom e sciamanico che lascia il segno, dividendo perfettamente a metà il disco e spezzando per quanto possibile la tensione accumulata all’ascolto dei primi due veri e propri pezzi, avente il pregio assoluto di non far calare -nonostante questo- minimamente d’intensità il lavoro del duo.
“Astral Blood”, se ce n’è uno, è probabilmente il momento più orecchiabile ed immediatamente assimilabile dell’intero platter, dote che dona irresistibilità al brano (sorretto questa volta da una struttura e partiture più tipicamente metal e tangibili del suo precedente), ma allo stesso tempo anche uno dei più completi: lo stacco acustico coadiuvato dal lavoro esperto dell’arpa classica fornisce al pezzo un flavour malinconicamente folkloristico, prima della conclusione affidata a coordinate Black Metal dal sapore epico e del suo finale soprendentemente simile a come l’opera era incominciata.
L’ultimo struggente pezzo da novanta del disco s’intitola “Prayer Of Transfomation”, che ancora va a rifugiarsi nel Doom e nelle atmosfere più lente e strazianti, con la migliore ed incredibilmente sofferta interpretazione del nostro Nathan Weaver, sorretto dalle sublimi parti di batteria del fratello che s’innalzano verso squisiti picchi emotivi.

Mi sembra scontato dire che ci troviamo davanti ad un disco che non esce tutti i giorni: summa compositiva del duo di lupi ad oggi, “Celestial Lineage” svetta e stupisce per la sua audacia nell’osare, ma quasi in punta di piedi.
Con semplicità.
Un disco, questo, che non mancherà di donare un vero e proprio macrocosmo di suoni ed emozioni a chiunque vorrà ricevere qualcosa da esso.
Un disco, questo, che non trova nel suo target coloro i quali vorrebbero -più facilmente- sentire qualcosa che hanno già assimilato e digerito (o vomitato?) in passato, bensì rappresenta un’opera che non ha l’assoluto timore di stagliarsi orgogliosamente come unica, facendone finanche un vanto.

“Ciò che è realmente grande, agli occhi dei mediocri appare oscuro.”  (Mordecai Richler)

Matteo “Theo” Damiani

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