Ungfell – “Tôtbringære” (2017)

Artist: Ungfell
Title: Tôtbringære
Label: Autoprodotto
Year: 2017
Genre: Folk/Black Metal
Country: Svizzera

Tracklist:
1. “Viures Brunst”

2. “Die Bleiche Göttin”
3. “Gottes Acker”
4. “Trommler Tod”
5. “Der Ûzsieche Und Sîne Grimmede”
6. “Wechselbalg”
7. “Slahtære”
8. “Der Opfersprung”

Fa sempre un certo effetto quando, col passare degli anni, un nome protagonista di approfondimenti volti a dare spazio alla sua proposta ancora poco conosciuta ai più diviene influenza e riferimento diretto per un’altra nuova e ben più giovane band che finisce ad essere il centro focale di nuovi scritti della medesima natura di quelli in cui ancora oggi figurano i padrini.
Mero cambio generazionale, chioseranno pragmaticamente (nonché giustamente) i lettori che forse seguono da qualche tempo in meno di altri il nostro lavoro.

Il logo della band

Il debutto degli svizzeri menestrelli Ungfell è inquadrabile esattamente nell’archetipo poc’anzi sottolineato ed evidenziato. Una situazione comunque solitamente anomala su queste pagine, nello specifico in questa sede, dato che sono davvero rari gli album che palesino evidenti influenze e direttive esplicite richiamanti un nome più navigato pur mantenendo un grado di interesse o un livello qualitativo di alto valore.
“Tôtbringære” è il full-length di debutto del duo svizzero, formato nel 2014 per volontà ed opera di Menetekel (musicante padre dell’estetica del progetto, della sua poetica e delle sue musiche) e successivamente coadiuvato da Infermità dietro alle pelli; nonostante il Black Metal degli Ungfell sia già molto particolare, sentito quanto sporco e caratteristico, è lapalissiana una discreta ammirazione per il kommando francese Peste Noire.
Malgrado la via maestra sia quindi tracciata e a tratti innegabilmente sicura, i nostri cantori si cimentano in molte personali e diramate variazioni sul tema che permettono loro di scrollarsi da subito di dosso il fastidioso mantello di cloni o emuli, grazie alle liriche completamente in dialetto antico della regione, sporcate da parti di tedesco medievale, ad un approccio decisamente meno avanguardistico e molto più diretto dei brani (tendenzialmente molto veloci), nonché ad un’estetica sonora ben più votata al nichilismo e al culto reverenziale della morte di stampo pre-rinascimentale, in netto contrasto con le stramberie funamboliche dell’adocchiato act francese.
Le similitudini più immediate sono senz’altro date dall’utilizzo delle chitarre sghembe e dal taglio melodico marchiatamente storto che non può non portare alla mente le soluzioni per cui la combriccola di monsieur Famine De Valfunde (del periodo dell’omonimo del 2013 in particolare) è ormai ben nota. Gli Ungfell, di contro, ci deliziano accostando il folklore autoctono apportato da organetti, fisarmonica e ghironda medievale, a vari fiati e diversi tipi di altri cordofoni più o meno antichi, oltre a sviluppare la costruzione melodica attorno a ricerche e scelte profondamente diverse.

La band

Fin dall’introduzione affidata alla breve “Viures Brunst”, che ci trasporta immediatamente in tempi remoti e cupi, guardinghi per le strade sporche di piccoli borghi in cui la caccia alla stregoneria è quanto mai attuale, è manifesto il già sviluppato e marcato gusto melodico delle composizioni dei transalpini. La sparata “Bleiche Göttin” dà un calcio all’ascoltatore mettendo in moto propriamente i tre quarti d’ora dell’album: ritmiche furenti e pestifere melodie stonate (costante nella produzione del platter) conducono l’assalto frontale senza fronzoli del duo. I toni chitarristici si mantengono costantemente in perfetto equilibrio tra la distorsione più perfida e raw con il crunchy acustico e squillante tanto caro alla scuola Avantgarde, da ritrovarsi anche nella successiva “Gottes Acker”: qui il mood più malinconico e triste -accompagnato da una prova vocale particolarmente decisiva e d’eccezione- in alcuni più tirati frangenti rielabora persino la poetica tedesca della brigata Lunar Aurora. Episodi eclettici in cui i cantastorie svizzeri sciorinano tutto il forte bagaglio folklorico, “Trommler Tod” e “Welchselbalg”, che si candidano sicuramente a migliori e più sorprendenti dell’intero lavoro: la prima ci mostra tutte le loro multiformi doti espositive e descrittive, mentre la seconda gode di un’atmosfera minacciosa, grandiosi ed epidemici intrecci, disgraziati stacchi violenti e riprese di malsano andamento squisitamente groovy che la rendono, per ricerca di suoni e contrasti, una vera mosca bianca all’interno dell’intera pur giovane produzione. La bellicosa e matta “Der Ûzsieche Und Sîne Grimmede” aggredisce puntuale senza far dimenticare le antiche suggestioni medievali narrate dalle musiche del disco, rievocate splendidamente in un inciso acustico in cui le prelazioni di un mondo ormai remoto sono ancora più vivide, prima che Meister ‘Tekel torni ad ululare alla luna piena e Infermità a distruggere il suo drum-kit. La conclusiva e drammatica “Der Opfersprung” è introdotta dall’interludio quasi saltarello “Slahtære” e, nonostante la sua incisività e qualità in fatto di arrangiamenti e sviluppo, unita al fatto che scorra in un baleno, si dimostra in un paio di frangenti l’unico episodio di “Tôtbringære” ancora troppo stilisticamente ancorato alla lezione della peste nera d’Avignone.

Tra riffing rapido e deforme, vocals maligne e straziate, un’ottima produzione, morbosi strumenti di tortura melodica e persino una celata raffinatezza, il debutto dei promettenti Ungfell richiede tempo e diversi ascolti per svelare le sue migliori qualità e farsi apprezzare in ogni sua più interessante sfaccettatura, ma si presenta dunque già fortemente evocativo, trascinante ed elettrizzante nel suo descrivere e mettere in musica così perfettamente storie di maledizioni e stregoneria ambientate in tempi corrotti, flagellati, putridi e misteriosi, in fondo nemmeno poi così eccessivamente lontani da ciò che spesso non ci rendiamo conto di vivere ogni giorno. Proprio per questo, forse, così affascinanti.

Matteo “Theo” Damiani

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