Ungfell – “Mythen, Mären, Pestilenz” (2018)

Artist: Ungfell
Title: Mythen, Mären, Pestilenz
Label: Eisenwald Tonschmiede
Year: 2018
Genre: Folk/Black Metal
Country: Svizzera

Tracklist:
1. “Raubnest Ufm Uetliberg”
2. “De Türst Und S Wüetisheer”
3. “Oberlandmystik”
4. “Bluetmatt”
5. “Die Heidenburg”
6. “De Fluech Vom Toggeli”
7. “Die Hexenbrut Zu Nirgendheim”
8. “Guggisberglied”
9. “Der Ritter Von Lasarraz”
10. “Raserei Des Unholds”

In questa sede, con gli Ungfell, ci eravamo lasciati nel 2017 elogiando il debutto “Tôtbringære” per la già spiccata dote compositiva del suo quasi tuttofare Menetekel nell’atto di plasmare musica ferina intorno a visioni e concetti provenienti da tempi medievali, apparentemente ormai lontani nella storia, eppure in un certo senso ancora così vicini alla sensibilità di chi mastica Black Metal e affini.

Il logo della band

In quell’occasione chi scriveva si augurava, e invero auspicava con discreta convinzione, una maturazione del progetto che lo portasse da un sound ancora troppo inzuppato di riferimenti riconducibili ai Peste Noire (più per merito stilistico dei secondi che per demerito di originalità dei primi, va tenuto di conto) allo sviluppo di tutta quella serie di ottime intuizioni ravvisabili qua e là tra i solchi di ciò che era in esame.
Se siamo qui a parlarne oggi a distanza di un solo anno è probabilmente chiaro che l’esito della sfida sia già positivo in tal senso, tuttavia è molto interessante capire e ascoltare come il nostro compositore elvetico -coadiuvato in questa sede dal prezioso sforzo fisico del batterista Vâlant– si sia posto da vincitore nell’impresa intitolata “Mythen, Mären, Pestilenz” e uscita questa volta per la tedesca Eisenwald Tonschmiede.

La band

Non siamo di fronte ad uno stravolgimento rispetto alle coordinate del debut, con ogni probabilità infatti ben meno di quanto ci si potesse aspettare dall’ascolto anticipato del solo pezzo di lancio (“De Türst Und S Wüetisheer”) e del suo irresistibile ma più ben immediato tiro, tuttavia esplicativo in quanto l’intero pacchetto di canzoni non è stato solo ulteriormente migliorato e raffinato, piuttosto arricchito innanzitutto di dettagli e nuove influenze ad allontanare principalmente lo spettro dell’ammirata band francese a favore -per dirne una- di ritornelli sempre affascinanti e di facile presa come culmine di composizioni ricercate, in diversi punti sorprendenti, e dalle venature sempre più varie.
Il nuovo impiego dei sintetizzatori, ad esempio, non tradisce solo uno sviluppo verticale in scrittura e arrangiamento, ma il loro utilizzo (per come vengono pensati fondamentalmente) svela una maggiorata propensione alla creazione di soundcapes complessi e profondi in intenti e riuscita.
Non è un caso che tutto il disco sia concepito palesemente in maniera più omogenea di ciò che l’ha preceduto: troviamo difatti svariati intermezzi che, se sulle prime rischiano di distrarre in parte l’ascoltatore e frammentare a scapito di immediatezza il lavoro, dopo diversi ascolti rivelano il loro potenziale nel ricreare adeguata atmosfera e donare ancora più pathos alle canzoni vere e proprie. La squisita varietà degli interludi -tra l’ambientale e il verista- è comunque specchio diretto di emozioni e sentori ricreati nei successivi pezzi, svolgendo quasi sempre una funzione introduttiva a microcosmi che necessitano loro volta qualche momento per farsi apprezzare in ogni curato o più ruvido passaggio. Questo perché il pauperistico aspetto folkloristico è sì decisamente più in evidenza rispetto al debutto, fornendo la base da cui partire come andamenti ritmici e tonali anche quando non sono impiegati direttamente fiati o cordofoni medievali, ma in sempre completo favore della pestifera narrazione accostata alle vocals sgraziate, lancinanti, farneticanti nel loro continuo sputare il sangue del menestrello svizzero, talvolta esalante brividi spettrali (come nella posseduta “Der Ritter Von Lasarraz”), allo sporchissimo chitarrismo sempre sghembo ma spesso persino esultantemente epico che (migliorato in intuizioni melodiche prevalentemente tratteggiate nei mono-corda in diversi frangenti sfioranti fascinazione neoclassica) vola in continuazione sulle montagne e i pendii innevati dal citato batterismo del compare Vâlant – più propenso invece a sconquassare le composizioni con il suo caos ritmico, donando loro in questo modo ulteriore fascino: in primo luogo per gli incastri di basse frequenze e i dinamici giochi su charleston (aperti e chiusi) come sul resto del set che, e qui giace il secondo punto, è usato in modo organicamente variopinto ma mai votato alla perizia tecnica, risultante d’inutile distrazione se viene considerata la proposta o le sensazioni veicolate.
Ulteriore dettaglio a riprova del grande lavoro svolto dietro le quinte di “Mythen, Mären, Pestilenz” è la produzione di alto livello ad opera di Greg Chandler nei suoi Priory Recording Studios, oltre alla fitta presenza di ospiti lungo il fluire delle tracce (tra cui spiccano senza dubbio l’inquietante viola cui è affidato l’onore di chiudere ogni danza macabra in “Raserei Des Unholds” e l’ugola di Minarsk per la reinterpretazione dell’antico pezzo tradizionale svizzero nella canzone di Guggisberg).

Il risultato è un disco intenso ma proprio per questo motivo infinitamente lontano da soporifera violenza, di natura febrilis in seno, passionale quanto acceso di puro fuoco nei suoi picchi più vigorosi ed intrisi di frenetica follia ma capace di donare persino momenti di grande dolcezza all’ascoltatore che viene investito dalla sua grande capacità di trasmettere pura astrazione, in magici paesaggi alpini abitati da diavoli, streghe e non meglio specificate creature maligne.
La bravura degli Ungfell di “Mythen, Mären, Pestilenz” sta proprio in ciò: ripudiare la superficie della modernità su ogni fronte ma, esattamente per tale atteggiamento, andare a fondo e riuscire a creare qualcosa di originale, genuino e paradossalmente attuale, dal fascino di una patina grezza continuamente accostata ad intuizioni di eleganza sorprendente, che grazie al perno tradizionalmente locale della sua musica riesce a distinguersi sia per metriche che sensazioni anche quando non punta il tutto e per tutto sulla personalità più spinta.
“Mythen, Mären, Pestilenz”, in una frase, non solo è la maturazione che ci si doveva attendere dagli Ungfell, ma anche il secondo capitolo di un cammino che promette ormai senza più grossi dubbi di riservare enormi soddisfazioni a tutti coloro che sono stati catturati, ad oggi, dalle note stregate della caccia selvaggia del duo.

Matteo “Theo” Damiani

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