Sacrilegium – “Wicher” (1996)

Artist: Sacrilegium
Title: Wicher
Label: Pagan Records
Year: 1996
Genre: Black/Folk Metal
Country: Polonia

Tracklist:
1. “W Dolinie Rwących Potoków”

2. “Śpiew Kruków Czarnych Cieni”
3. “Wilczy Skowyt”
4. “W Rogatym Majestacie Snu”
5. “Zagubiona Ciemność”

6. “Wicher Falami Ognia”
7. “Szept Nocy”

“Scars show us where we have been, they do not dictate where we are going.”

Nel contesto ben definito della musica estrema nel 1996, in Polonia (in quegli anni ancora ben lontana dai clamorosi fasti che avrebbero contraddistinto il Black Metal proveniente dal paese, superate le porte del nuovo millennio) e più precisamente a Wejherowo, esce un disco passato inosservato ai più che -a distanza di vent’anni è ormai lampante- ha tuttavia colpito a tal punto artisti e addetti ai lavori da spianare di fatto la strada, e dettare stilemi, a band giunte alla ribalta finanche decadi dopo, ritagliandosi quel piccolo e inconsciamente ambito posto (proprio di pochi privilegiati) di chi ha realmente avuto influenza in un determinato sottogenere di appartenenza.

Il logo della band

I Sacrilegium nascono nel 1993, in pieno sviluppo della seconda ondata di Black Metal scandinavo, e si vanno a posizionare stilisticamente (tre anni dopo, con il sorprendente debutto “Wicher”) tra la furia e la facilità d’approccio dei Darkthrone, le atmosfere rarefatte e ripetitive di Burzum e quelle dal retrogusto sinfonico dei primi Emperor, Satyricon, Dimmu Borgir, Limbonic Art e Abigor, tuttavia con un retaggio compositivo ed esecutivo immediatamente distinguibile come proprio dell’Est Europa già abbozzato (ma non a tal punto sviluppato e raffinato) dai conterranei Veles e da dei giovanissimi Behemoth nel 1995: lo stesso anno in cui, con risultati ben più simili al disco in oggetto, avrebbero debuttato gli ucraini Nokturnal Mortum con il primissimo demo “Twilightfall”.
Nel 1996, invece, accanto ad un più grezzo, autoritario e canonico debutto su full-length dei connazionali Arkona (“Imperium”, Astral Wings Records), nonché al secondo demo dei già citati Nokturnal Mortum (ben più raffinato e stilisticamente maturo, ci si riferisce all’acclamato “Lunar Poetry”) e al debutto dei transilvani Negură Bunget, per rimanere su coordinate simili, esce “Wicher”: il primo, e ad oggi unico, album in studio dei Sacrilegium successivamente scioltisi nel 2000.

La band

Fatta propria la lezione impartita dalle ritmiche più appetibili dei Darkthrone e dei più folkloristici Isengard, quanto il riffing voluttuoso e retaggio inconsapevole di musica tradizional-popolare di quei Primordial debuttanti su full-length un anno prima (“Imrama”, 1995), così come l’approccio dal forte retrogusto pagano, naturalistico e slavo di act geograficamente ben più vicini, corroborato da un ancor più forte tono sinfonico dei pattern tastieristici sullo sfondo (proprio, a questi livelli, solamente degli austriaci Summoning di “Minas Morgul”), “Wicher” si compone di sei pezzi mediamente lunghi ed un breve outro, per una durata totale di poco meno di 50 minuti di musica.
L’opener “W Dolinie Rwących Potoków” anticipa di più di un lustro quelle che sarebbero state le sonorità proprie di band a cavallo tra Folk Metal, Black atmosferico e tinte sciamaniche, ed evitare oggi un parallelo stilistico netto con la virata più sofisticata e drammatica degli ultimi lavori dei russi e celebri Arkona sarebbe semplicemente ingiusto nei confronti dei Sacrilegium.
Il cantato dei pezzi è completamente in lingua madre: elemento che rafforza ancora di più -qualora ve ne fosse il bisogno- il legame tra la componente Black Metal alla base del disco e l’amore per le proprie tradizioni, rivendicato e riversato in musica, proprio di band come gli Storm di “Nordavind” (di un solo anno precedente).
Il riffing, per gli standard abituali del genere d’appartenenza, è incredibilmente variegato e trascinante (spesso purtroppo mortificato dalle velleità di una produzione non in tutti i frangenti all’altezza della qualità compositiva). Dimostrazioni di varietà pratiche, in questo senso, sono ben fornite dall’ascolto di “Zagubiona Ciemność”.
“Śpiew Kruków Czarnych Cieni”, uno dei pezzi dal taglio più epico e solenne del disco, le cui tristi melodie chitarristiche sono letteralmente guidate dai sintetizzatori in primo piano, gode invece della particolarità di possedere al suo interno inedite clean-vocals decantanti il tragico sollievo della morte ed il momento dell’abbandono terreno:

“La luna piena splende su di me
Non sento più dolore né paura
Finalmente le stelle mi indicano la strada…”

E, nonostante la particolarità dei cori e dell’evocativo rallentamento seguito dal grezzo solismo chitarristico di “W Rogatym Majestacie Snu”, il picco qualitativo massimo è probabilmente raggiunto -come quasi da copione- con il pezzo più lungo e strutturato del platter: “Wicher Falami Ognia” che, oltre a mostrare una summa concettual-stilistica di ciò che i Sacrilegium erano nel 1996, palesare una scrittura su pentagramma fuori dal comune e una maturità stilistica soprendentemente ampia per quello che a conti fatti è nient’altro che un primissimo debutto su full-length, manifesta molte altre caratteristiche del disco fino a quel momento nemmeno accennate. L’atmosfera creata dalla lunga ma adeguata introduzione, affidata agli arpeggi di chitarra acustica dall’intensità emotiva crescente, è preludio di magia nera e tetro misticismo pennellato dal magniloquente chitarrismo solista finale, pregno di ottimo gusto melodico e malinconico, che (con il breve outro “Szept Nocy” ad esso collegato) chiude un altrettanto ottimo disco.

Senza girarci ulteriormente attorno, “Wicher” è una perla che sfortunatamente non ha mai ricevuto l’attenzione che avrebbe meritato. Le ragioni sono chiaramente molteplici, sarebbe sterile e probabilmente retorico accennarne anche solo un paio in questa sede, ma per ovviare alla mancanza di riconoscimenti (complice il ritorno in pista della band nel 2015, in procinto di rilasciare un secondo e nuovo full-length il prossimo marzo) la stessa Pagan Records, che produsse il disco venti anni or sono, lo ha ristampato in una versione aggiornata e migliorata in resa audio grazie ad una rimasterizzazione calibrata e non invasiva, senza quindi snaturare eccessivamente il prodotto.
Geograficamente vicino ai Behemoth quanto lontano dai capricci dell’attuale scenografico modus operandi, così come ben distante dal divenire famoso più per controversie ideologiche -di natura strettamente politica- che per bontà musicale propria (ogni riferimento a Graveland è puramente casuale), “Wicher” è oggi silenziosamente alla portata di tutti.
Non esistono quindi più scuse per perderselo. Datevi e dategli tempo, donate attenzione e fatelo vostro: quel che disperatamente andate cercando potrebbe in realtà essere più drammaticamente vicino di quanto non crediate…

Matteo “Theo” Damiani

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