Ottobre 2017 – Enslaved

 

Lasciatecelo dire: ottobre è stato, con la sola ma decisa eccezione di maggio (e forse, discutibilmente, parimenti di gennaio), il mese più qualitativamente eccelso dell’intero 2017 ad oggi.
Non solo l’impareggiabile nuova prova dei leggendari Enslaved (uscita il 13 per Nuclear Blast Records) ha sconvolto gli ultimi trentuno giorni con tutta la sua freschezza, guadagnandosi senza remore il titolo di disco del mese, ma diverse altre grandi uscite hanno convinto appieno l’intero staff, trovando picchi d’apprezzamento condiviso in tre temibili runners-up da Germania, Francia e Svizzera. I nostri Feanor, Caldix e la nostra NHO questa volta lamentano persino diversi grandi esclusi, seppur di minor caratura, che non troverete citati in questa occasione (a parte uno, per un valido motivo, nelle note conclusive) in quanto sopraffatti dalle numerose nomination giunte alla tripletta poco fa anticipata.
Ormai lo sapete, la trovate proseguendo nella lettura dell’articolo.   

 

 

“Qualcosa in più dell’ottimo solito lavoro polimorfico e sorprendente degli Enslaved. Un concept lirico d’altri tempi sposa la modernità delle soluzioni e della musica in un rito antico e sopraffino. “E” è intenso, profondo, raffinato, curato oltremodo nella quanto mai riuscita fusione di sensi e terra, di Progressive Rock, Black Metal, Avantgarde, Jazz e quant’altro riusciate ad immaginare, preservando intatto come sempre il trademark evolutivo dei titani della sperimentazione nel metal estremo. Se poi persino le solitamente fastidiosissime tracce bonus risultano del valore del resto del disco, si può semplicemente concludere sia stato fatto tutto giusto. Siamo allo stato dell’Arte.”

(Leggi di più nella recensione che un paio di settimane fa lo ha nominato disco della settimana, qui.)

“Agitato per la quattordicesima volta il variegato e personalissimo caleidoscopio di influenze, ispirazioni e tematiche, la formazione norvegese ci dona un complesso e stratificato opus, caratterizzato da un sempre più articolato sali scendi di natura Progressive. La primordiale e originaria efferatezza si sposa con classe unica alle virate psichedeliche e alle aperture più carezzevoli e sognanti, spesso affidate all’ugola del neo-entrato Håkon Vinje, che si dimostra già perfettamente integrato nella magica alchimia mutaforme denominata Enslaved.”

L’ultima opera dei norvegesi Enslaved non consiste esclusivamente in un’ora (bonus tracks incluse) di incredibile classe musicale, ma riesce anche a trasmettere un quadro completo di tutto ciò che è stato fatto dal gruppo nel corso della sua carriera, rendendo l’ascoltatore ancora più consapevole della qualità di questa leggendaria formazione.”

“In termini di miglioria e di evoluzione i norvegesi si dimostrano, come sempre, una spanna sopra gli altri gruppi, come ci è testimoniato dal loro nuovo album “E”, dove l’asticella della qualità si alza notevolmente, ed era difficile, per chi ascolta, immaginare un miglioramento simile dopo la precedente perla di “In Times”. Ma evidentemente per gli Enslaved superare i vecchi limiti sembra facile come bere un bicchiere d’acqua, soltanto l’ugola rocciosa di Grutle rimane inalterata, come una sorta di filo conduttore in tutta la loro discografia, buono tra l’altro l’esordio nel nuovo tastierista/voce pulita di Håkon Vinje, che non fa rimpiangere l’abbandono di Herbrand Larsen.”

Se esiste una buona ragione per continuare a far musica dopo 26 anni di ineccepibile carriera, può essere solo la consapevolezza di potersi superare ancora. E i colossi norvegesi non peccano di presunzione. “E” è un’opera maestosa, la cui profonda e geniale complessità ne costituisce l’anima più interessante, e forse anche l’elemento maggiormente indigeribile per chi ancora non riesce a star dietro all’inarrestabile evoluzione degli Enslaved.

Un ottimo lavoro per i norvegesi, che tendo a riassumere con un concetto semplice, ma di non facile realizzazione pratica: la maggior parte di questo album si ricorda persino al primo ascolto. E sì, c’è il sassofono. Un vero tocco di classe.”

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Il secondo full-length del duo turingio Dauþuz, intitolato “Die Grubenmähre ed uscito ufficialmente quattro giorni fa per Naturmacht Productions. Pronti a tornare nelle profondità più oscure della terra, sotto le radici dei monti, dove nessuno potrà confortarvi?

“Dopo l’ottimo “In Finstrer Teufe” era facile aspettarsi un secondo grande disco dai Dauþuz. “Die Grubenmähre ci fa ritrovare una band splendidamente attenta alla scrittura di brani che siano sempre scontrosi ma d’assoluto impatto. Il Black Metal veloce e sanguigno dei due tedeschi ha una carica impressionante e parti vocali strepitose, mentre scava ed estrae ruvidi gioielli melodici ed acustici dalla pietra e dal fango della sua trionfante aggressione tonante e dirompente.”

(Leggi di più nella colonna settimanale dedicata a “Drachensee”, qui.)

“Come nemesi pirandelliane rifuggiamo l’epifania della luna e scegliamo di addentrarci in un’oscura e antica caverna pregna di miti, melodie e primigenio sgomento. Le ottime scelte in fase di produzione vanno ad esaltare l’ispiratissimo riffing e le linee vocali varie ed incisive, fra i maggiori punti di forza della formazione. Ricalcando gli stilemi del debutto, i Dauþuz si riconfermano una delle novità più interessanti del panorama tedesco, sperando che questa volta, almeno la loro musica, riesca ad emergere dai fin troppo affollati e labirintici cunicoli delle cave del metal estremo.”

I giovani Dauþuz tornano un anno dopo il proprio debutto discografico senza deludere le aspettative. La musica che costituisce “Die Grubenmähre” suona spontanea e con un’atmosfera agonizzante, merito soprattutto del concept minerario sul quale si basa il lavoro del gruppo.”

“Si ritorna in miniera con il secondo e nuovo album dei turingi Dauþuz, “Die Grubenmähre” mostra un piccolo ma deciso miglioramento rispetto al precedente full-length, i riff sono più freddi ed evocativi, come nel descrivere la bellezza dei paesaggi circostanti e la fredda oscurità del sottosuolo, mentre degna di merito è la prova vocale di Syderyth G., molto versatile nel cambiare registro a seconda delle varie situazioni, specialmente negli scream molto acuti e dilatati, quasi nel testimoniare la fatica e la paura dei minatori durante il loro lavoro.”

Ad emergere dalla massa sono stati anche i tedeschi Dauþuz, che per per questo lavoro hanno deciso di conciliare spasmi rabbiosi ad una produzione cruda, ma ben gestita. Inoltre, malgrado la freddezza del sound, riescono a regalare all’ascoltatore riff indubbiamente appetitosi.”

 

La fattura del nuovo capitolo targato Blut Aus Nord, in cui il visionario francese Vindsval plasma una nuova malata pagina della sua austera creatura artistica. “Deus Salutis Meæ” è fuori dal 27 ottobre forte del solido rapporto collaborativo con l’ottima Debemur Morti Productions.

“Una densa coltre di fumo e tetra arcaicità avvolge un letto impalpabile e violento di pulsazioni, tanto fredde e meccaniche quanto indagatorie e capaci di stimolare i più irrazionali abissi della psiche. Mantenendosi coerente e fedele a quello spettro di sensazioni e influenze proprie del panorama più sinistro ed oscuro della musica tanto care all’imprevedibile ed inguaribile sperimentatore Vindsval, “Deus Salutis Meæ” colpisce e stupisce fin da subito nella sua mezz’ora di nero delirio elettronico e industriale.”

“I Blut Aus Nord non seguono alcuna regola prestabilita e “Deus Salutis Meæ” non sarà la prima eccezione al dictat. Vindsval rielabora i tratti somatici che resero grandi “The Work Which Transforms God” e “MoRT” in chiave più smaccatamente Industrial (Godflesh citati a più riprese), pur non abbandonando l’esoterismo sviluppato a cavallo della destrutturazione in seno ai 777. Nuove intuizioni dal retrogusto ritualistico e monastico innalzano la qualità del lavoro donando una marcia in più alla ricercata staticità asettica ed ipnotica, ricreata con un sound denso dovuto alla costruzione estetica di brani e struttura di matrice orrorificamente Dark Ambient. Fortemente sconsigliato a chi cerca un ascolto piacevole.”

(Leggi di più nella colonna settimanale dedicata ad “Apostasis”, qui.)

“Restiamo in termini di miglioria ed evoluzione, questa volta però da un punto di vista (e di ascolto) più oscuro, con il nuovo e dodicesimo full-length dei francesi Blut Aus Nord,“Deus Salutis Meæ”. La creatura del misterioso Vindsval si dimostra come sempre eclettica e, dopo aver lasciato momentaneamente le sonorità Atmospheric Black Metal del precedente “Memoria Vetusta III”, ritorna a quello stile claustrofobico di Black Metal mischiato invece con l’Industrial. Prevale un sentore malsano per tutta la durata dell’album, in cui è molto difficile decifrare il tutto da un solo ascolto; infatti, oltre ad essere malsano, è un lavoro molto ostico da ascoltare proprio per la sua particolare elaborazione. Ma, in fondo, è proprio questo il fascino dei Blut Aus Nord.

 

“Hegemony” degli svizzeri Samael, uscito il 13 del mese per Napalm Records: l’undicesimo full-length del quartetto si è fatto attendere la bellezza di sei anni, ma è in definitiva un grande ritorno.

“Le sferzate di ruvida elettronica e i synth magniloquenti ci scaraventano con forza nell’immaginario distopico della formazione elvetica, che confeziona una release solidissima, con 12 tracce di livello che amalgamano con esperienza e rinnovata linfa i capitoli più marziali e cadenzati alla furia industriale, in un denso flusso incontenibile e dancey.”

“In una parola, “Hegemony” è irresistibile. Nel senso più autentico e semplice del termine, il fluire catchy ed equilibrato dei suoi pezzi è di estrema, vigorosa e trascinante presa sull’ascoltatore pur tenendosi saldamente strette le rifiniture ormai classiche del sound evoluto dei Samael. Mid-tempos cupi, dai tratteggi epici e più spesso dark/gotici, vengono costruiti partendo da basi di musica dance elettronica ora reinventate in chiave Metal ingrassata di nero, rendendo brani come “Rite Of Renewal” o “Murder Or Suicide” dei veri e propri inni dal songwriting di alto valore.”

(Leggi di più nelle colonne settimanali dedicate a “Black Supremacy” e “Angel Of Wrath”, qui.)

 

Tuttavia, possiamo chiudere senza menzionare quello che sarebbe stato il disco del mese della nostra NHO? Ciò che lei ha “apprezzato maggiormente” non ha ricevuto abbastanza nomination da essere incluso tra i runners-up, ma sappiate che il suo parere recitava su per giù: “[…] È cupo, dispersivo e asfissiante: un concentrato di sensazioni tanto orribili, quanto orecchiabili. I francesi, per l’ascoltatore, hanno deciso di non lasciare alcun briciolo di speranza.”.
Si tratta di “Plus Une Main À Mordre”, secondo full dei francesi Throane di Dehn Sora (anch’esso fuori per Debemur Morti) che trovate, insieme ad ogni altra release di ottobre, al nostro calendario annuale sempre aggiornato.
Dovreste saper già cosa sto per dire ora. Esatto: prossimo appuntamento con i migliori del mese fissato a fine novembre.

 

Matteo “Theo” Damiani

 

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