Nasheim – “Solens Vemod” (2014)

Artist: Nasheim
Title: Solens Vemod
Label: Northern Silence Productions
Year: 2014
Genre: Atmospheric Black Metal
Country: Svezia

Tracklist:
1. “En Nyckel Till Drömmars Grind”

2. “Jag Fyller Min Bägare Med Tomhet”
3. “Att Av Ödets Trådar Väva Sorg”
4. “Vördnad”

Che la tedesca Northern Silence Productions si sia buttata, negli ultimi anni, sul Black Metal di stampo atmosferico è ormai dato di fatto assodato dai più attenti ascoltatori delle frange più estreme della musica nera.
Quello che non proprio tutti hanno notato è che lo ha fatto dannatamente bene.

L’annata a dir poco clamorosa (in casa dell’etichetta tedesca) del 2014 ha visto il rilascio di act rinomati nell’underground come Saor (su tutti) e Woods Of Desolation, a nemmeno un anno di distanza dal debutto degli americani Caladan Brood che tanto diedero lustro alla label nel 2013, andando addirittura a gareggiare con il disco -del medesimo anno- dei loro padrini-in-musica Summoning.
Tuttavia, tralasciando l’aspetto meramente mediatico del caso (con conseguente successo di alcuni dischi ad inevitabile sfavore di altri, nello stesso ambiente), è giusto citare un terzo monicker che ha rilasciato un debutto sulla lunga distanza per Northern Silence Productions nel 2014: mi riferisco agli svedesi e misconosciuti Nasheim.

Il logo della band

La one-man-band nasce a Lögdeå nel 2001 e si fa attendere un paio di anni prima di rilasciare un primissimo e scarno demo autoprodotto nel 2003, seguito da un secondo demo (questa volta prodotto su nastro dalla Intolerant Records) intitolato “Undergång” che metteva in mostra tutte le grandi qualità di scrittura del tuttofare Erik Grahn, già decisamente capace e portato a costruire lunghi pezzi capaci di intrattenere l’ascoltatore grazie alla loro magneticità.
L’accorta Northern Silence Productions raccoglie al volo l’act svedese per ripubblicare (nel 2004) una compilation su CD che contenesse entrambi i demo rilasciati nei due anni precedenti, più una cover della celebre “Blood Fire Death” dei Bathory.
Dieci anni di scrittura e arrangiamento di quattro nuovi, lunghi e mastodontici brani sono serviti al factotum celato dietro al misterioso monicker Nasheim per comporre e rilasciare il primo full-length, intitolato “Solens Vemod”, e le sue 1900 copie numerate in disco fisico.

Erik Grahn

L’etichetta non ha evidentemente messo fretta ad Erik Grahn, il quale ha ripagato le attenzioni e la pazienza degli adetti ai lavori (e di chi era stato già colpito dal buon demo) con un debutto francamente sorprendente.
Vero: gli anni trascorsi tra la formazione e questo disco sono ben tredici, e comunque il full era stato anticipato dalla colossale “Sövande Mjöd Vill Jag Tömma” (ben venticinque minuti di pezzo, contenuto nello split-album con gli Angantyr del 2007), tuttavia non si può che rimanere sorpresi di fronte ad un debutto di una qualità e maturità (sia stilistica, compositiva che esecutiva) tale in quella che dovrebbe rappresentare una prima prova assoluta sulla lunga distanza.

Rispetto a ciò che è stato fatto finora dalla one-man-band, è velocemente riscontrabile una produzione più nitida e compatta ma fumosa, a tratti accomunabile al tipico sound Sludge, che non al Black Metal più ortodosso.
L’atmosfera permane però: variata solo nelle sensazioni trasmesse e negli intenti, migliorata in qualità, ricercatezza e raffinatezza delle soluzioni e del susseguirsi di cambi stilistici, perennemente in bilico pericolosamente instabile tra eteree dilatazioni e ripugnanti claustrofobie, dove invero l’oscurità permea la totalità del platter e dei suoi quarantotto minuti di durata.
I rallentamenti armonici padroni del pezzo contenuto nello split sono lontani se non nella conclusiva “Vördnad”, le ritmiche scelte come base delle composizioni sono in maggioranza devote all’up-tempo ripetitivo ed ossessivo nel riffing, quanto suadente ed ipnotico, dove il susseguirsi degli eventi e dei collage metrici è ancor più calibrato e meglio pensato che nelle precedenti uscite minori: sintomo evidente di una maturazione che era solamente dietro l’angolo.
Anche le divagazioni acustiche contenute nel precedente split sono in parte accantonate, presenti in pochi passaggi più o meno nascosti nel missaggio. L’andamento più o meno velatemente sognante è sostituito in “Solens Vemod” da un’attenzione volta ad un suono spesso più fangoso e paludoso (qualcuno ha detto Agalloch?) quanto più maturo, disilluso e disperato.
L’andamento up-tempo tarda a farsi sentire, dato che l’opener “En Nyckel Till Drömmars Grind” predilige rifugiarsi nella lentezza del Doom e nella sua stretta malinconica ma solenne (le trame di basso sono il vero gioiello del pezzo, qui parte del paragone precedentemente accennato con gli americani di Portland), con le sue atmosfere sinistre che verranno poi a più riprese riutilizzate nel corso dei successivi pezzi, condita dall’ottima abilità del mastermind che delizia gli apparati uditivi mediante linee vocali ben diversificate tra loro che fanno letteralmente volare gli oltre tredici minuti dai quali è composta.
“Jag Fyller Min Bägare Med Tomhet” è uno dei momenti di più alto valore del disco e apre le danze alla parte centrale dell’intero lavoro con i suoi tempi più incalzanti e ancora il basso dal suono pieno e definito a reggere le trame e scandire il tempo.
Il cuore del disco è composto infatti da questa coppia di pezzi, dato che anche la successiva “Att Av Ödets Trådar Väva Sorg” ribadisce stilisticamente ciò che è stato detto nel secondo pezzo e ne bissa l’annichilente risultato, prima di giungere alla conclusiva (di già!) “Vördnad”.
Una certa attinenza con gli irlandesi Altar Of Plagues (velata anche nel resto delle tracce), piacevolmente mescolata con lo stile swedish, esce nel finale che riprende le fattezze stilistiche dell’opener: un tramonto che non poteva risuonare più romantico di così (nel senso letterario del termine, ovviamente) grazie al pathos crescente di cori e sezione ritmica su base acustica, tutto da assaporare.

Il disco non si presenta affatto immediato, pur garantendo diversi spunti interessantissimi dai primi ascolti, probabilmente croce e delizia di una produzione dal flavour ovattato, tuttavia ricercatissima, che va a svelare la vera essenza delle composizioni col passare degli ascolti, garantendo longevità e un piacere di ascolto tutto in salita.
Non si lasci quindi scoraggiare chi non vi entra in sintonia dal principio, ma stia lontano chi è vittima del trend facile dello sdoganato Black Metal atmosferico post-2000: la personalità di “Solens Vemod” non amette repliche né paragoni che non servano unicamente a scopo conoscitivo od esplicativo.
Donategli cura ed attenzione, ed essa vi sarà riproposta in altre e bellissime forme… D’altronde…

“Val molto di più avere la costante attenzione degli uomini che la loro occasionale ammirazione.” (Jean-Jacques Rousseau)

Matteo “Theo” Damiani

https://www.youtube.com/watch?v=ZRGp9r2ZoLM

Precedente Saor - "Aura" (2014) Successivo Windir - "1184" (2001)