Moonsorrow – “Jumalten Aika” (2016)

Artist: Moonsorrow
Title: Jumalten Aika
Label: Century Media Records
Year: 2016
Genre: Viking/Black Metal
Country: Finlandia

Tracklist:
1. “Jumalten Aika”

2. “Ruttolehto – Päivättömän Päivän Kansa”
3. “Suden Tunti”
4. “Mimisbrunn”
5. “Ihmisen Aika (Kumarrus Pimeyteen)”

La morte è ineluttabile fine dell’imparziale e austero tragitto destinato a qualunque essere vivente.
La logica vuole che la nascita ne sia inizio altrettanto inevitabile; tuttavia, in senso lato e ciclico, persino gli Dèi (o le leggende e miti atti a tramandarne storie e sembianze) finiscono per esserne inaspettate vittime.
Per quanto ci si possa sforzare, come singoli o finanche collettività, la volubilità dell’uomo, le scoperte scientifiche e le eterne lotte intestine degli abitanti il pianeta, non garantiranno mai un futuro concretamente diverso da ciò che attende l’essere vivente fin dalla sua nascita.
È ciclica la storia e, con essa, lo sono le vite dei suoi creatori. Così le leggende, gli scritti e i canti tramandanti (e talvolta condizionanti o storpianti) i suoi avvenimenti, finiscono ad esserne inevitabilmente parte e tessuto vitale.
Possiamo dunque decidere il percorso da seguire, possiamo prendere decisioni fondamentali che tuttavia non andranno a modificare o scalfirne, in alcun modo, il subordinato e inscindibile binomio inizio-fine.
S’è vero che gli uomini sono stati creati dagli anch’essi mortali Dèi, allora è altrettanto vero che è l’uomo -non appena impara storicamente a scrivere e cantarne le lodi- a forgiare all’atto pratico le divinità stesse. Ciononostante, la circolarità del fatto vuole che sia infine la creatura a sostituirsi protervamente alla divinità stessa, dimenticandola e tradendola in quanto non più necessitante, divenendo così portatore della fine dell’antico tempo degli Dèi, della loro effettiva morte, e -con essa- dell’avvento di una nuova era: quella dell’uomo. L’era dove ferro e oro si trasformano in fuoco e morte, ricominciando il ciclo da capo, mediante nuova e solo in apparenza diversa linfa vitale.

Il logo della band

A cinque anni esatti trascorsi dall’uscita del nulla e della rassegnazione consapevole, amaro e realistico specchio di un destino che sconfigge tutto sul suo percorso, portati in musica dal fluire dei sessantuno minuti di “Varjoina Kuljemme Kuolleiden Maassa” e dal suo annichilente taglio drammatico di liberazione dolcemente dolorosa che tarda sempre a coglierci, giunge sul mercato discografico “Jumalten Aika” (“il tempo degli Dèi”) tramite il colosso Century Media Records. Il settimo full-length dei finlandesi Moonsorrow è anche il primo ad uscire dalle mani dell’etichetta tedesca, a seguito di una carriera costellata di successi giunti direttamente dalla connazionale Spinefarm Records (e dalla sezione più estrema della stessa, l’ormai defunta Spikefarm).

La band

Un nome così consolidato garantisce un taglio netto ad inutili presentazioni di rito: “Jumalten Aika” si compone di cinque brani dalla lunga durata, come da tradizione, fatta eccezione per “Suden Tunti” che -con i suoi sette minuti di timing- rappresenta il pezzo più corto scritto dai Nostri negli ultimi dieci anni (quindici, addirittura, se si esclude l’anomala “Matkan Lopussa” presente in quel “Kivenkantaja” che li consacrò al pubblico nel 2003).
Il platter presenta un suono incredibilmente organico e dinamico, nonché anche quello più stilisticamente vicino al Black Metal -in senso stretto- mai composto dal quintetto di Helsinki. In guisa di provocazione tutt’altro che paradossale, in una sintesi scevra di sbavature, il disco è anche uno dei più pregni di folklore scandinavo (e non) dagli stessi ad oggi realizzato.
Non si spaventi chi, come il sottoscritto, ha sempre goduto della crescente raffinatezza del combo finlandese negli anni: i Moonsorrow non iniziano di certo a suonare anacronistici dopo ben ventuno anni di carriera e lo stile della band, formato da tutti i suoi elementi, è presente più che mai nella nuova release.
L’annerimento graduale era (ri)cominciato con “Verisäkeet” nel 2005 e, con esso, le composizioni si erano anche fatte di pari passo sempre più complete, complesse, raffinate e progressive. Il gusto non è di certo mai mancato alla band capitanata dai cugini Henri e Ville Sorvali, ma è innegabile come la composizione del primo si sia fatta ad ogni uscita più matura e squisitamente unica, fino ai picchi rappresentati dalla voluttuosità del catacombale e monumentale “Viides Luku – Hävitetty” o dall’eterna sconfitta dell’uomo dinnanzi al tempo nello straziante e agghiacciante penultimo capitolo discografico.
A seguito di una breve introduzione, che prende in prestito neve e vento perenni da “Hävitetty” e vi aggiunge cori e strumentazione folkloristica per creare un’atmosfera ancestrale e arcana, la title-track “Jumalten Aika” mette subito in mostra grandissima parte dei segni distintivi sciorinati dalla band fino ad oggi, alzante ancora una volta l’asticella della propria ambizione con progressioni via via sempre più maestose e una varietà d’idee e riffing (in un solo pezzo) con cui si potrebbero riempire diversi dischi. Procedendo con l’ascolto ci si rende conto di come questa sia una costante anche negli intricati e complessi pezzi successivi, dove ogni strumento garantisce per sé una prova semplicemente mozzafiato, che assume più valore ascolto dopo ascolto (si prenda il solito grandissimo lavoro di caleidoscopiche tastiere e sintetizzatori come esempio), tuttavia prestandosi sempre a una visione d’insieme che -seppur ricca di minuziosi dettagli- rifugge qualsivoglia ruolo da primadonna.
Alcuni dei momenti più drammaticamente epici e smaccatamente folkloristici del disco sono ravvisabili nella splendida suite che prende il nome di “Ruttolehto – Päivättömän Päivän Kansa”, che vede tra l’altro la partecipazione, in veste di ospite, del celebre Jonne Järvelä per le parti vocali in joik (forma di canto tradizionale sami) nei momenti acustici dell’interludio e del malinconico ma liberatorio finale. L’oscura e (relativamente) più scarna “Suden Tunti” ha il non facile compito di rallentare il ritmo -senza far calare bontà compositiva o la tensione del disco- spezzando a metà il lavoro e garantendo ancor più varietà e immediatezza.
La mezz’ora abbondante di aggressione finale ci è consegnata dall’accoppiata “Mimisbrunn”“Ihmisen Aika (Kumarrus Pimeyteen)”. Il primo è facilmente il pezzo più sofisticato e triste dell’intero lavoro e -a tratti- il più sorprendente mediante il suo connubio forse mai prima d’ora così riuscito tra l’approccio stilistico tipicamente Black Metal, il Folk, le cavalcate Viking Metal e la musica progressiva condita da invitanti stacchi Jazz della sezione ritmica (Gentle Giant, Gryphon e King Crimson sarebbero fieri più che mai dei cinque finlandesi, a patto che apprezzino il soffuso folklore medievale da loro sdoganato seguito dai blast-beat); il secondo va a chiudere ciclicamente il disco(rso) iniziato con l’era degli Dèi (“Ihmisen Aika” significa infatti “l’era dell’uomo”).
A mani basse il pezzo con le parti più furenti ed estreme dell’intero album, che coniuga in musica alla perfezione le tematiche oscure e ancora una volta apocalittiche affrontate, è un gelido saluto e ammonimento all’ascoltatore ormai inerme davanti a un lavoro che non presenta nella maniera più assoluta punto debole alcuno.
Perché il cantato di Ville Sorvali sarà anche sempre stato eccellente e incredibilmente empatico, ma qui è prodotto, interpretato ed eseguito con cura e risultati fuori dal comune, sia nei frangenti più aggressivi che in quelli più strazianti. Allo stesso tempo, il batterismo del maestro Marko Tarvonen è da sempre riconosciuto come eclettico, tanto fantasioso e versatile quanto incisivo, ma probabilmente qui supera finanche le ottime prove precedenti. I layer chitarristici, infine, s’intrecciano pieni più che mai, giocando tra loro e raddoppiati dalla vastità di stratificazioni delle 88 tasti, vera anima del disco.

Inutile quindi sprecarsi in ulteriori (quanto meritatissime) lodi, o sezionare in sterile e asettica analisi complessi e profondi brani dal valore così elevato. Meglio gioire per uno dei punti più alti ad oggi raggiunti dai Nostri, ennesimo colpo da maestri centrato dai dolori della luna, nonché concentrarsi sulle raffinate sorprese che i cinque finlandesi sapranno donare agli affamati delle fattezze stilistiche qui in sede di scritto elencate.
Parafrasando lo storico scozzese Thomas Carlyle, “Jumalten Aika”, con la sua cupa grandezza intrisa di miti e leggende quanto mai attuali, risulta distillato di tormentate sinfonie con pesante e parossistico monito: mai imparare la Storia fine a sé stessa, bensì conoscerla e analizzarla per trovare in essa una ciclica visionaria del domani.

“Il fatto che gli uomini non imparino molto dalla storia è forse la lezione più importante che la stessa ci possa insegnare.” (Aldous Huxley)

Matteo “Theo” Damiani

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