Empyrium – “The Turn Of The Tides” (2014)

Artist: Empyrium
Title: The Turn Of The Tides
Label: Prophecy Productions
Year: 2014
Genre: Dark/Neo-Folk
Country: Germania

Tracklist:
1. “Saviour”

2. “Dead Winter Ways”
3. “In The Gutter Of This Spring”
4. “The Days Before The Fall”
5. “We Are Alone”
6. “With The Current Into Grey”
7. “The Turn Of The Tides”

Lo squisitamente malinconico flavour musicale rispondente al nome Empyrium torna, dopo ben dodici anni dal precedente full-length “Weiland”, per la gioia di tutti i fan sparsi nel globo a cui mancava il sognante ed intimistico duo -scioltosi nel 2006- dopo i quattro gioielli discografici lasciati ed un’evoluzione artistica imponente mischiata ad una personalità sempre ben rimarcabile e mai comune.

Il logo della band

Se siamo qui a parlare di un nuovo disco del duo tedesco, è perché i Nostri hanno deciso di continuare a rendere partecipe il mondo del romantico microcosmo sonoro che da sempre caratterizza il mondo artistico del mastermind Markus Stock (si parlava prima di intimismo sonoro, ove un parallelo con i caratteri propri delle tendenze artistiche ottocentesche non sfigurerebbe affatto, né tantomeno suonerebbe fuori luogo) e lo fanno con “The Turn Of The Tides”, quinto capitolo discografico sulla lunga distanza, rilasciato ancora una volta dalla storica e connazionale etichetta Prophecy Productions.
La domanda ovviamente è “come suonano gli Empyrium nel 2014 dopo dodici anni di pausa?”.
La risposta, al netto delle variegate influenze di “The Turn Of The Tides” -rapportato alla discografia recente e non della band-, potrebbe non essere così scontata o di semplice formulazione: intanto è bene precisare che la tendenza Neo-Folk velata di Darkwave è sempre ben presente nell’economia sonora del disco, anche se non più in modo preponderante come si potè ascoltare nei precedenti “Weiland” e “Where At Night The Wood Grouse Plays” (dove le più scarne atmosfere acustiche, retaggio degli Ulver di “Kveldssanger” e del Neo-Folk di annata, incontravano un mood fortemente gotico formando un personalissimo ed ovattato castello notturno richiamante un amore mai troppo celato per la tristezza di act quali i più crepuscolari The Cure o Siouxsie And The Banshees).

La band

A venti anni di distanza dalla nascita del progetto ad Hendungen, in Bavaria, “The Turn Of The Tides” gioca e prepone in tavola la componente Dark sul resto, richiamando nei suoi 43 minuti di durata una matrice Doom andata sempre più affievolendosi negli anni.
I più attenti avranno notato la somiglianza stilistica del singolo rilasciato dalla Prophecy, giocando d’anticipo sulla data d’uscita del disco, intitolato “Dead Winter Ways”: un piccolo gioiello che andava a ripescare atmosfere e strutture direttamente dal secondo disco “Songs Of Moors & Misty Fields” (1997), strizzando però l’occhio agli ultimi Dead Can Dance (qualcuno ha detto “Anastasis”?) con un sound immediatamente più ricco, pieno e meno acustico del solito.
La grande importanza donata alle orchestrazioni (con reminiscenza non solo del secondo capitolo discografico, ma anche del debutto “A Wintersunset…” del 1996, affrontate ora in chiave nettamente più matura e coerente) è lapalissiana fin dalla delicatezza dell’opener “Saviour” e si terrà quantomeno costante per tutta la durata del disco e delle sue sette tracce.
Contravvenendo a quanto detto fin’ora, gli Empyrium dimostrano in questo platter una dualità assai rara rispetto alle vecchie prove: la delicatezza alla base del sound del disco si mischia elegantemente con passaggi maestosi; e l’appena citata “Saviour” è un esempio calzante, mediante la sua introduzione di pianoforte a coda subito coadiuvata dai passaggi orchestrali che -senza mai risultare pacchiani o fuori luogo- garantiscono la ieraticità ricercata.
Il singolo a cui ho accennato in precedenza (“Dead Winter Ways”) segue in andamento ma non in emozioni, che si fanno più cupe e disperate grazie alla matrice Doom squisitamente retrò e gli unici drammatici passaggi in harsh-vocals di tutto il disco, riprendendo altri punti in comune con il più vecchio materiale della band agli esordi.
“In The Gutter Of This Spring”, nonostante il crescendo culminante nella strumentazione elettrica distorta (senza mai sforare totalmente nel Metal estremo), richiama ancora una volta i Dead Can Dance a livello vocale ed attitudinale, distaccandosi però per arrangiamenti.
La varietà del disco è confermata dall’accoppiata “The Days Before The Fall” e “We Are Alone”, dove la prima ci mostra degli Empyrium anomalamente folkloristici grazie a delle inedite quanto azzeccate percussioni tribali ed una maggiore attenzione donata alle chitarre acustiche che negli altri pezzi, mentre la seconda colpisce per la sola presenza di piano, archi e voce baritonale: il risultato è uno dei pezzi più tristi e romantici mai scritti dalla band tedesca, nonché uno dei momenti di più alto valore emotivo di “The Turn Of The Tides”.
In chiusura “With The Current Into Grey” riprende gli elementi più Doom dei pezzi posti in apertura (e del materiale primigeno del combo), mentre la title-track ci accompagna dolcemente verso la fine del disco con arrangiamenti sopraffini e di nuovo una cura particolare per le eleganti chitarre elettriche suonate in pulito e le gravi parti vocali a cui -con loro- siamo sempre stati bene o male abituati.

Il disco è stato registrato e prodotto nei Klangschmiede Studio E di proprietà dello stesso Markus Stock per un lavoro senz’altro egregio, com’era lecito aspettarsi vista l’esperienza dei professionisti in gioco.
Gli Empyrium tornano quindi dopo dodici anni da “Weiland” non tradendo le aspettative ma nemmeno sorprendendo in modo assoluto o clamoroso il pubblico più fedele, con un disco che -con tutti i pro e contro del caso- dona un colpo alla botte ed uno al cerchio, trovandosi in armonia tra passato e presente, senza però disdegnare elementi nuovi e coraggiose soluzioni che non tarderanno a farsi apprezzare dagli ascoltatori di musica più intima ed introspettiva.
Emotivamente, però, il velo di tristezza non era forse mai stato così pesante… Perché s’è vero che, come asseriva il simbolista Faillet, nonostante la tristezza a vari livelli e percezioni, la malinconia rimane e resta appannaggio delle anime superiori e per questo più fragili, allora gli Empyrium rimangono -ancora una volta- una band con un linguaggio musical-poetico non proprio per tutti.

“I momenti migliori […] sono quelli di una quieta e dolce malinconia, dove tu piangi e non sai di che.” (Giacomo Leopardi)

Matteo “Theo” Damiani

Precedente Windir - "1184" (2001) Successivo Pagan Storm intervista i Vreid