Draugr – “De Ferro Italico” (2011)

Artist: Draugr
Title: De Ferro Italico
Label: Autoprodotto
Year: 2011
Genre: Folk/Black Metal
Country: Italia

Tracklist:
1. “Dove L’Italia Nacque”
2. “The Vitulean Empire”
3. “L’Augure E Il Lupo”
4. “Suovetaurilia”
5. “Ver Sacrum”
6. “Legio Linteata”
7. “Ballata D’Autunno”
8. “Inverno”
9. “Roma Ferro Ignique”
10. “De Ferro Italico”

“Una creatura invitta con forza di legioni: Draugr…”

A distanza di nove anni dalla nascita di una delle creature più maestose che il Metal estremo italiano abbia mai testimoniato, esce un disco che avrebbe dato una svolta ad un intero genere entro i confini nazionali.
A distanza di quattro anni dalla sua uscita, le dieci variopinte tracce contenute nei solchi di “De Ferro Italico” sono state tutt’altro che dimenticate od accantonate – al contrario: da alcuni prese finanche come vera e propria guida spirituale.

Il logo della band

Inutile girare intorno a retoriche introduzioni o indispettirsi, ancora una volta, per quell’adatto e serio supporto discografico che clamorosamente il disco si vide negato, com’è presumibile che sia, uscendo professionalmente autoprodotto inizialmente in sole 500 copie (proprio nel biennio che ne abbraccia l’uscita, peraltro, gli esempi simili anche all’estero ed in particolare in una non troppo dissimile Germania, tra i Wolfhetan di “Was Der Tag Nicht Ahnt” e gli Aaskereia nel medesimo 2011 con “Dort, Wo Das Alte Böse Ruht”, si sarebbero seriamente sprecati): mancanza di lungimiranza, forse interesse, ma sicuramente adeguata competenza e comprensione di tutte le etichette a cui il materiale venne inevitabilmente inviato ancor prima di essere pubblicato.
Disco che ciononostante ha rappresentato, oltre che il punto più alto della breve ma oltremodo intensa carriera degli abruzzesi, anche l’epitaffio musicale dei Draugr con il più sommo dispiacere di tutti i fan acquisiti con grande e validissimo lavoro nel decennio abbondante trascorso tra la nascita del nome originario di Chieti ed il suo scioglimento per divergenze nient’altro che artistiche.
Il debutto vero e proprio sulla lunga distanza è quel “Nocturnal Pagan Supremacy”, rilasciato nel 2006 dalla tedesca Christhunt Productions, che vede la band ancora votata a stilemi tradizionalmente Black Metal ma impreziositi da trame spesso folkloristiche e tematiche totalmente devote alla cultura e tradizione delle terre di origine, nonché delle popolazioni anticamente abitanti le stesse. Bisognerà infatti aspettare fino al 2011 per avere un (ultimo) successore del debutto: per “De Ferro Italico” la band non bada ad alcuna spesa non solo per la mera, curatissima realizzazione pratica e stampa, ma specialmente per quanto riguarda la produzione del platter, registrato negli ACME Recording Studios di Sulmona ad opera di Davide Rosati (proprietario anche della To React Records che, l’anno successivo, ristampa finalmente il disco dando almeno in minima e possibile parte quella promozione originariamente mancanta) e masterizzato dal celebre Mika Jussila negli altrettanto rinomati Finnvox Studios di Helsinki (al lavoro negli anni, tra più e meno grandi altri, con: Moonsorrow, Finntroll, Ensiferum, Children Of Bodom, Peste Noire, Amorphis, Impaled Nazarene…) per un risultato semplicemente sublime a livello di resa audio che rende piena giustizia a tutta la bravura, la ricerca, l’ambizione storico-lirica e musicale, la personalità unica, il carattere sopraffino e le ampie capacità di quelli che furono i componenti sul disco nella loro irripetibile alchimia.

La band

Dal primo capitolo discografico vi è innanzitutto apparentemente una vera e propria svolta a livello di sonorità: l’ingresso in pianta stabile di Helsior (presto noto anche come Ursus Arctos) e gli arrangiamenti tastieristici pregiati hanno forse rappresentato la chiave per un sound ancora più personale e vario, nonché più marcatamente folkloristico ed epico quando necessario, senza tuttavia snaturare ciò che era stato debitamente conquistato e già consolidato con il debutto. Infatti, le incursioni ferocemente Black Metal sono in realtà nel 2011 sempre alla base della proposta dei Draugr, garantendo la giusta dose di cattiveria e collante con il quale giostrare le altre varie influenze apportate dallo stile rinnovato dei vari musicisti.
Fin dall’introduzione “Dove L’Italia Nacque” è subito chiaro come si tratti di un concept-album: i protagonisti delle vicende tanto genuinamente quanto operisticamente, coralmente, teatralmente narrate sono le popolazioni pagane ufficialmente vissute fino al 394, proprio in seguito al Decreto di Teodosio del 392 che, attraverso le sue scritture, il fuoco, la morte ed il sangue versato, rendeva proibiti i culti e la religione stessa di quelle popolazioni pre-romane che in particolare abitano tutto il centro e sud Italia prima di quegli anni. Il primo pezzo vero e proprio lo troviamo con la furiosa “The Vitulean Empire” (curiosamente l’unico in inglese dell’intero disco, l’esatto opposto di quello che avvenne in “Nocturnal Pagan Supremacy” ove le percentuali delle due lingue erano esattamente invertite) con i suoi cambi di tempo repentini e significativi per tutta la durata ed il cantato di Svafnir già enfatico quanto efferato, bestiale, costante che rappresenterà con la sua carica drammatica e scenografica, quasi visiva, per tutto il disco un vero punto di forza con tutta la varietà stilistica e teatralità di cui è divenuto capace, affiancato dalle melodie da sapore tradizionale intessute dai tasti bianchi e neri di Helsior che donano elegantemente respiro e sbocco al pezzo.
Queste caratteristiche in realtà saranno ben presenti per tutta la durata dei circa sessanta minuti di “De Ferro Italico”, ed è subito palese grazie alla nettamente più melodica e folkloristica “L’Augure E Il Lupo”: massiccio mid-tempo non meno ricco di cambi che non permettono all’ascoltatore di rimanere impassibile nemmeno per un momento, durante lo scorrere dei secondi. Lo bissa, in quanto a pathos, sicuramente la successiva “Suovetaurilia” la quale (se proprio si dovesse o potesse scegliere) riuscirebbe forse a strappare per molti e non per assurdo, o senza estrema difficoltà, la palma di miglior pezzo del lotto, e che con i suoi quasi dieci minuti di durata fornisce all’ascoltatore momenti di altissima epicità, ed uno stacco pre-conclusivo da brividi.

“All’orizzonte i lampi preannunciano battaglia,
le fontane di Roma spilleranno il sangue dei traditori dell’antico culto…
che i cristiani tornino ad esser pasto per leoni
e che le loro anime siano nettare per Ade!”

Nel momento in cui l’atmosfera si è fatta finalmente più cupa, tragica e carica di risentimento nei confronti del nemico cristiano, giunge quasi a stemperare la tensione la scanzonata ma squisitamente pagana (unico episodio tale del platter, nonché colpo di coda nella storia narrata) “Ver Sacrum” che vede questa volta il nostro Svafnir narrare i rituali e le ricorrenze della primavera sacra. Sia la quiete che l’atmosfera parzialmente più trionfale e gaudente durano però molto poco, perché giunge il momento più veloce ed immediatamente coinvolgente dell’intero disco, costituito da quella “Legio Linteata” che con il suo ritornello irresistibile e la carica up-tempo forte a non finire fa trovare incastonato tra le sue indimenticabili peripezie anche l’utilizzo della cornamusa (suonata per l’occasione da Lorenzo Marchesi dei connazionali Folkstone, così come i flauti del compare Maurizio Cardullo).
Siamo già giunti a metà del disco senza nemmeno accorgercene, e tutto d’un fiato ecco irrompere con la sua dolcezza e malinconia l’acustica “Ballata D’Autunno”, intermezzo che svolge anche funzione di preludio all’episodio più estremo dei dieci pezzi, nonché alle tastiere che saranno tipiche poi dei Selvans: “Inverno” è un’ode al coraggio, alla forza e all’onore del guerriero, paragonato qui alla spietatezza dell’inverno, tanto da richiamare non per caso proprio le sonorità gelide del debutto. La conclusione del suo successore (e delle vicende narrate ed intessute inscindibilmente a doppio filo con le sue musiche) è a questo punto affidata all’eternità dalla doppietta di “Roma Ferro Ignique” accoppiata alla title-track “De Ferro Italico”: emblemi splendidi della classe e della profonda teatralità del quintetto abruzzese e di ciò che hanno saputo fare e narrare in quello che, probabilmente anche in tempi più maturi, verrà ricordato come uno dei dischi più belli mai usciti e riusciti -se non altro in ambito Metal- dalla nostra penisola. Finita la devastazione nella capitale posta a ferro e fuoco, giungiamo infatti in mezzo a quella che è autodefinita l’ultima battaglia dell’orda, dove i rimasti guerrieri pagani perderanno sì contro l’ombra a quel punto a forza insuperabile della Chiesa, riuscendo però ad essere ricordati imperituramente mediante le loro eroiche gesta.

“Tombe senza nome, la loro pietra racconta, urla senza voce…
il loro eco ora giunge a noi…
moderni guerrieri dagli antichi ideali…”

L’ultima strofa cantata con solenne emozione, con strazio magico nella calca sonora in cui si perdono battiti e pezzi di cuore è del resto emblematica e persino rivelatrice di quello che, in un 2011 non troppo inoltrato, a tratti inconsapevolmente, si apprestavano a divenire sul territorio nazionale i Draugr stessi con la loro sincera, minuziosa ed altrettanto avvincente opera di riscoperta dettagliata e profonda passione per la propria terra e per le sue radici più profonde; possano dunque le note della loro musica, così come i miti e l’esistenza di qualunque popolazione del passato, non una esclusa, sebbene spesso sconfitta negli annali della storia ufficiale ma giustamente invitta nella memoria popolare, risuonare in eterno in quello che ancor prima ed ancor più che un precedente nazionale è un autentico capolavoro di genere.

Matteo “Theo” Damiani

 

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