Ásmegin – “Hin Vordende Sod & Sø” (2003)

Artist: Ásmegin
Title: Hin Vordende Sod & Sø
Label: Napalm Records
Year: 2003
Genre: Folk Metal
Country: Norvegia

Tracklist:
1. “Af Helvegum”
2. “Bruderov Paa Hægstadtun”
3. “Huldradans – Hin Grønnkledde”
4. “Til Rondefolkets Herskab”
5. “Over Ægirs Vidstragte Sletter”
6. “Slit Livets Baand”
7. “Efterbyrden”
8. “Op Af Bisterlitjernet”
9. “Vargr I Véum”
10. “Blodhevn”
11. “Valgalder”

Un peccato mortale. Questo quello che viene lecitamente e dovutamente automatico pensare all’ennesimo ascolto di un disco come “Hin Vordende Sod & Sø” dei norvegesi Ásmegin.
Un vero peccato sì, perché la ben poco nota band proveniente da Jevnaker non ha più dato segno di vita alcuno dal 2008 (e più di uno, maliziosamente, potrebbe asserire che la band sia scomparsa ben prima).

asmegin logo
Il logo della band

Ma andiamo per ordine: gli Ásmegin nascono nel 1998, in Norvegia, a seguito di quel vero e proprio fermento di act, avvenuto nella seconda metà dei ’90, che andavano riscoprendo le loro radici culturali e folklore popolare, ancora evidentemente vivo se non altro nelle musiche, nei testi e nei concept (ove presenti) di moltissime formazioni norvegesi, e più in generale scandinave e finlandesi, di quegli anni.
La prima prova incisa in studio dai Nostri risale all’anno successivo: un grezzo ma ben congegnato demo rispondente al nome di “Naar Rimkalkene Heves”, dove le prorompenti influenze folk, ampiamente dosate a parti più prettamente e vigorosamente Viking Metal, si mescolavano con un -a tratti acerbo- connotato fortemente debitore al Black Metal norvegese (la seconda ondata che da fine anni ’80 alla prima metà dei ’90 sferzò di sangue, blasfemia e morte le fredde coste della Norvegia -prima-, della Svezia subito dopo, e solo in parte della più calma ed apparentemente ancora più pacifica Finlandia).
Solamente nel 2003 l’allora sestetto, formato da nomi più o meno noti della scena norvegese di quegli anni e coadiuvati -in veste di guest-vocalist in molte parti- da un certo Lazare (all’anagrafe Lars Are Nedland dei Solefald, Borknagar ed ex-Carpathian Forest, tra gli altri), firma un contratto per quattro dischi con la storica Napalm Records. Questa la genesi del debutto e -a parere di chi scrive- summa dell’ Ásmegin-pensiero intitolato “Hin Vordende Sod & Sø” del quale ci accingiamo a parlare in questa sede.
La band sfornerà un seguito al primo disco solamente nel 2008 (cinque anni dopo), che si mostrerà però povero di idee e carente tanto nel songwriting quanto nella produzione (paradossalmente meno incisiva e riuscita rispetto a quella del debutto), per un lavoro che era effettivamente inferiore al suo predecessore -e non di poco- sotto praticamente qualunque punto di vista.
Come accennavo sopra: assolutamente scomparsi dopo questo ben poco riuscito “Arv”, affogati nel mare di mediocrità che li circondava (e circonderebbe tutt’ora), forse bloccati in un contratto di quattro dischi per l’austriaca etichetta o magari, più semplicemente, con le idee subito terminate dopo un clamoroso primo disco.

asmegin
La band

Il disco si presenta maturo sotto ogni versante, ma non è tutto: infatti la freschezza e l’originalità delle composizioni -sommate alla consapevolezza di trovarsi davanti ad un debutto- lasciano sbalorditi per la loro eccellenza.
Il disco parte veloce sin da subito con la brevissima ma minacciosa “Af Helvegum”, seguita a ruota se non altro in intenti da “Bruderov Paa Hægstadtun”, che non lasciano tregua all’ascoltatore travolto dal mix efficacissimo dei Nostri che trasporta (o meglio scaraventa) in un altro mondo, fatto di foreste talvolta oscure ma sempre sconfinate, malevole creature magiche (come vuole il folklore norvegese di cui è impregnato il disco in ogni sua nota), violini e riffing tagliente e selvaggio -ma sempre intelligentemente dosato- che s’inseguono, così come le incredibilmente varie partiture vocali affidate a vari tipi di harsh-vocals estreme, potenti cori maschili e più soavi voci femminili che donano sempre la giusta atmosfera ai pezzi, dove troviamo anche un brillantissimo Lazare sfoggiare il suo inconfondibile timbro.
Nel terzo pezzo a farla da padrone è la soave e bellissima voce della brava Anne Marie Hveding, supportata dai “soli” strumenti acustici che danno un flavour quasi medievale al pezzo.
Procedendo nell’ascolto potremmo disquisire se il pezzo migliore del disco sia “Til Rondefolkets Herskab” per la magia che trasmette o se la vera gemma sia invece “Blodhevn”, o ancora: quanto sia stata eccelsa la prestazione di ogni cantante intervenuto, dal guest Lazare al frontman vero e proprio della band (Bjørn Olav Holter)… Potremmo anche metterci a discutere su quanto siano sempre azzeccati gli inserti di violino, scacciapensieri, pianoforte, ma soprattutto di quanta classe e raffinatezza risieda negli arrangiamenti e cura per le parti di Mellotron e Zither norvegese, fiati e tastiere mai invasive ma sempre indispensabili ove presenti.
Potremmo, sì.
Ma sarebbe indiscutibilmente svilente per l’opera che l’intero “Hin Vordende Sod & Sø” costituisce, e della quale solo un ascolto approfondito (ma che dico uno, i più possibli!) possono rendere l’idea del lavoro svolto in fase di composizione ed arrangiamento.
Svilente per le undici composizioni, per i suoi tre quarti d’ora di durata, per il susseguirsi fremente invero sempre naturale di cambi di tempo e varietà stilistica -quasi- senza paragoni in un genere, il Folk Metal, solitamente infestato da tempi di batteria perennemente in levare che appiattiscono e rendono monotone e prive di reale mordente -nonché longevità- le composizioni.
E che la descrizione della strumentazione impiegata non vi induca nell’errore di scambiare il platter per un lavoro di classico Folk Metal sempliciotto e banale. Non vi è nulla di banale, né tantomeno semplice, all’ascolto del suddetto; la cupa “Efterbyrden” vi possa servire da esempio e farvi innamorare perdutamente del disco in questione.

Spero non servano ulteriori inutili giri di parole, che risulterebbero nel migliore dei casi unicamente pura retorica, per convincervi ad ascoltare il disco. In qualunque caso: non ve ne pentirete.
Il “peccato mortale” sarebbe ignorarli ancora.

Matteo “Theo” Damiani

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